Regia di Woody Allen vedi scheda film
HollyWood (Starting) o Morte (Ending): due Matrimoni (qualunque altra cosa, basta che funzioni!), e quattro Occhi Sognanti.
Per la prima volta al soldo alleniano, Vittorio Storaro, che a sua volta svezza il regista (oltre che, più compiutamente, sé stesso, lavorando di concerto alla scoperta del nuovo mezzo e supporto) al digitale (e se nulla all’apparenza cambia col passaggio dal binomio Arri+Kodak alla Sony CineAlta F65, forse tutto cambia: il film successivo, «Wonder Wheel», girato alla stessa maniera, è uno dei film «ontologicamente» più teatrali di Allen proprio anche perché le quinte e lo sfondo - in studio e all’aria aperta - sono in green screen e low-CGI), illumina Kirsten Stewart come in seguito farà, più spudoratamente, con Kate Winslet, Juno Temple ed Elle Fanning (ed Elena Anaya, in un «fiammeggiante» bianco e nero bergmaniano).
[...e la Sony CineAlta F65.]
New York & Nebraska vs. Hollywood, metà anni ‘30.
Perennemente orbitanti attorno ad un loro punto di Lagrange in comune che li tiene uniti ma distanti, Jesse Eisenberg (il protagonista: che entra in scena in un secondo momento, dopo - e introdotto da - il prologo «family jews» allargata, e che non è dotato di PdV principale) & Kristen Stewart (la Veronica n° 1, Vonnie) si attraggono e respingono [l’epifanico colpo di fulmine che sorprende e permea lui, e l’amore a lenta carburazione, coltivato con l’amicizia e, una volta raccolto, messo sul piatto del Decidere che Fare della Propia Vita (e, di conseguenza, di quella degli altri), di lei] sino alla dissolvenza incrociata che li avvicina e li separa nel finale, e, punteggiato con parsimonia dalla voce narrante dello stesso Allen, Steve Carell (diretto per la seconda volta dal regista dopo una piccola parte in «Melinda and Melinda»), qui in una versione - mi si passi l’azzardo - via di mezzo fra un Mr. Rochester fatalista suo malgrado, un Clare Quilty buono/indifferente e un Pigmalione meccanicamente generoso più per convenzione che per convinzione, è blandamente impegnato a tessere e intrecciare i fili e a sciogliere e disfare i nodi, lasciando che sia il destino (un po’ d’amore, e una consistente dose di denaro e potere) a decidere le sue sorti e per contrappasso quelle di tutti e tre.
Quasi un cameo (due pose) per Sheryl Lee (così come per Tony Sirico), che al contempo è uno dei personaggi (assieme a quello interpretato, magnificamente, da Blake Lively, la Veronica n° 2 - ad esempio quando dice a Bobby «Mi hai chiamato Vonnie. Non mi chiami mai così...», e, ancora, nella sua ultima scena, contro-eyeswideshutiana: «I sogni sono solo sogni...» -, e a quello - un breve «siparietto struggente»: 3 minuti di dolce delirio - messo in scena da Anna Camp, la prostituta alle prime armi Candy) più sentimentalmente tragici della storia.
Chiudono l’ottimo cast, in un turbinio di famiglia, religione e mafia: Corey Stoll («Midnight in Paris», «the Romanoffs»), Jeannie Berlin («Margaret», «Inherent Vice» e «the Night of», mentre sua madre, Elaine May, ha recitato per Allen in «Small Time Crooks» e «Crisis in Six Scenes»), Ken Stott («the Hobbit Trilogy», «the Dig»), Parker Posey («musa» di Hal Hartley e poi in «Irrational Man»)…
Montaggio di Alisa Lepselter, musiche dal repertorio di Count Basie, Benny Goodman, Vince Giordano and The Nighthawks…
«HollyWood (Starting / Ending) or Bust»: a Marriage Stories (AnyThing Else, WathEver Works!): «Your eyes look so dreamy!»
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