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Café Society

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Café Society

di Furetto60
7 stelle

Ottimo lavoro del mitico Woody Allen.

Siamo nei primi anni trenta, Bobby un giovane e ambizioso ebreo, decide di lasciare la caotica e soffocante New York per approdare a Los Angeles, culla del cinema, a caccia di gloria e di un posto al sole, in quel mondo rutilante e ammaliante, confida nell’aiuto di uno zio impresario di una famosa agenzia per le star di Hollywood. Tuttavia a parte un modesto lavoro di fattorino, l’illustre parente non gli dà molte opportunità, però lo introduce nell’ambiente mondano e festaiolo della Hollywood dei tempi d’oro. S’innamora di Vonnie la segretaria dello zio Phil, in realtà anche sua amante segreta. Si frequentano, hanno gli stessi gusti, si piacciono e s’innamorano. Ignaro all’inizio dell’ambigua posizione sentimentale di Vonnie, progetta di sposarla e fare ritorno a New York, ma lei dopo averlo illuso, torna sui suoi passi, quando viene a sapere che Phil ha veramente lasciato la moglie e cosi decide di sposare quest’ultimo. Bobby sconsolato ritorna a New York da solo. Il fratello, Ben un gangster senza scrupoli, lo coinvolge in un ambizioso progetto e di lì a poco nasce il “Cafè Society”, un night-club, che presto diventa un locale “à la page” luogo di incontri tra VIP di grido e politici che contano, Bobby lo gestisce in qualità di direttore con grande “savoir faire” e capacità manageriali, raccogliendo unanimi consensi. Conosce una ragazza, che di lì a poco sposa e per giunta diventa padre. Qualche tempo dopo però incontra di nuovo Vonnie con l’ormai marito Phil e la passione risorge prepotente in entrambi. Primo film del geniale folletto newyorkese a essere girato in digitale. Fotografato con grande mestiere da Vittorio Storaro,è un’opera che ha i suoi migliori pregi, nella confezione e nell’estetica, importanti fattori sono infatti la luce abbagliante della California,i caldi colori pastello e le suggestive atmosfere. Per quanto riguarda le situazioni sono quelle consuete di Allen. Gli spunti narrativi, i temi, i personaggi e le stesse schermaglie sentimentali, sono quelle frequentate abitualmente dal mitico regista, come del resto anche l’ambientazione storica, è quella di un periodo in cui spesso Woody, ha fatto incursioni, quegli anni Trenta magici cinematograficamente, ma inquieti storicamente, «I tempi stanno cambiando» esclama Bobby verso la fine del film, ed è così. “Cafè Society” racconta non senza un pizzico di nostalgia, il crepuscolo di alcuni eventi, l’epoca del grande jazz, che si andava ad ascoltare nei club newyorchesi di "negri", la piccola e ipocrita borghesia e i cafoni arricchiti, arroganti e supponenti. Ritratto fintamente scintillante dei miti del cinema, di esponenti dell’alta società, di playboy, politici e gangster che caratterizzavano il sinistro fascino di quell’epoca. Tuttavia quel periodo stava volgendo al termine, si respira l’atmosfera decadente, con i suoi interpreti più affascinanti, da Howard Hawks a Billy Wilder, fino a Joan Crawford, Barbara Stanwyck e Greta Garbo, tutti i personaggi di un’era, quella delle commedie raffinate e leggere ormai al tramonto, che da lì a poco avrebbe perso il suo tratto leggero, abbracciando un genere inquieto e cupo, quello del noir anni Quaranta. Per il regista dunque la fine del periodo “incantato”, coincide con la fine dell’ingenua e spontanea giovinezza del proprio “eroe”. Bobby, ormai maturo smette di sognare ad occhi aperti ,abbandona le velleitarie aspirazioni, diventa realista e accetta il proprio destino ben diverso da quello che aveva vagheggiato. Le illusioni e i sogni lasciano campo alla realtà quotidiana. Allen si ritaglia con la voce fuori campo il ruolo di narratore, sovrapponendo il dramma sentimentale dei suoi protagonisti, con il dramma sociale e della storia, peraltro la seconda guerra mondiale è alle porte. Le scelte visive, assecondano questa contrapposizione. Da una parte Los Angeles è luminosa e vivida, sontuosa e ricca del glamour di Hollywood, rappresentando il sogno, dall’altra, la New York della malavita italo/ebraica, più fosca e livida, simboleggia il ritorno alla dura realtà. Dice saggiamente la madre di Bobby «vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, perché prima o poi lo sarà per davvero”. Il regista newyorchese riesce sempre a sorprendere in positivo. Non c’è mai nulla di banale nei suoi lavori, anche in questo lavoro ci sono tantissimi elementi di grande interesse, non ultimo l’incompiutezza del sentimento amoroso, probabilmente è questo il messaggio più forte, che proviene dal film, inutile dannarsi, l’amore trova sempre il modo di complicarsi e di complicare la vita, mai di trionfare come la comune vulgata, semplicisticamente ritiene. Piccole schegge di umorismo sono seminate sapientemente nella sceneggiatura.

 

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