Regia di Woody Allen vedi scheda film
Non un ritorno a casa, ma l'ultimo film di Woody Allen è una conferma del mestiere di regista, che ad 81 anni regala un altro affresco serrato e malinconico sugli anni Trenta.
Vedere Café Society è come sorseggiare lentamente, senza fretta un bicchiere di brandy invecchiato, dal colore ambrato e con note di tabacco o legno tostato. Dopo il primo sorso già sappiamo come sarà il prossimo, e fino all'ultimo non ci sarà un crescendo o alcuna sorpresa a turbarci. L'indomani al risveglio staremo bene, avremo un ricordo tranquillo, d'emozioni contenute e serene.
Woody Allen, di anni 81, è un maestro della retorica. Retorica intesa come maestria nel combinare formule di situazioni, gesti, frasi già ascoltate, già viste ma che grazie all'indubbia eleganza riescono, se pur non nuove, a convincere.
La Hollywood degli anni trenta è location ideale per il regista che unisce gli ingredienti del suo cinema fatto di divi del passato, gangster e relazioni difficili. Ma in Cafè Society non ci sono le scintille di Broadway Danny Rose, o di Pallottole su Broadway, c'è qualche tinta "scorsesiana", ma il film è permeato da una costante malinconia, come una rassegnazione.
Non c'è più critica, ma affetto a figure che si muovono in un mondo antico. Sono figure inconsciamente infelici, il jet set hollywoodiano, mentre altre di estrazione sociale più umile sono più coscienti della rinuncia ad un amore forte, forse immaturo, sacrificato in nome di una vita più rassicurante. Tutto il comparto di attori è bravo e misurato, forse spesso si ha la sensazione che facciano parte di un meccanismo prestabilito, alcune frasi, alcune movenze hanno un non so che di rigido, di costruito, come se gli attori fossero topi costretti nel labirinto della mente del regista. Questo è anche un elemento che intristisce il film, questo senso di non appartenenza dei personaggi a luoghi e situazioni.
In fondo Café Society è un film sulla menzogna, Jesse Eisenberg (Bobby) è un ragazzo "senza qualità", il suo successo è dovuto solamente alle spalle coperte dal malavitoso fratello maggiore e dallo zio, agente di star hollywoodiane. Kristen Stewart è Vonnie, segretaria dolce e fragile, anche lei indecisa tra sogni di ricchezza ed una vita "normale" newyorkese. La famiglia di Bobby riceve soldi dal figlio maggiore, chiudendo entrambi gli occhi sui suoi più che loschi traffici.
Café Society scorre così, come una partitura già scritta da tempo ed in parte riadattata. Non ha la stessa forza e non è brillante come i film del passato del regista, nemmeno di alcuni del passato più recente (siamo lontani da Blue Jasmine), ma regala, come un buon sorso di brandy, una confortevole serata di confortevoli sensazioni già vissute.
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