Regia di Thea Sharrock vedi scheda film
Il profluvio di lucciconi, lo strofinio di fazzoletti, il brusio di groppi in gola più o meno soffocati e accenni di protesta: tre fatti, una certezza di riuscita.
Strappalacrime doveva essere e strappalacrime è stato.
Love Story sui generis, romanzo di successo alla base, zucchero q.b., effusioni di tenerezza diffusa e dosi (leggere e innocue, ma salvifiche, giacché attenuano la materia viscosa e greve dell'ultrasentimentalismo) di humour (tutto generato dalla goffaggine della simpatica protagonista proletaria piena di vita in opposizione all'antipatica controparte aristocratica dall'esistenza interrotta e forse terminale): questa la ricetta del successo, già sbancabotteghini negli States e altrove, a cascata.
Di fatto non ci si innalza né si discosta molto da canoni e dispositivi - narrativi, (melo)drammatici, musicali, emozionali, estetici - appartenenti al (proficuo) filone; un po' come accadeva in un altro recente campione di incassi come Colpa delle stelle.
Fortunatamente scongiurate fatali derive ed approssimazioni YA, Io prima di te si segnala per una maggiore consapevolezza di contenuti e tematiche (tra i quali riveste maggior interesse il concetto di vita pre e post incidente che ha causato la paralisi a Will) nonché per approccio e toni più maturi ma anche per una gestione opportuna del sentimento. Al quale si cede - ed eccede -, con tutto il prevedibile carico di retorica ed enfasi, nell'ultima parte; essendo comunque già la visione tendente a picchi di stucchevolezza sia per i paesaggi inglesi da cartolina sospesi nel tempo e in atmosfere idiliache sia, soprattutto, per la figura altamente caratterizzata di Louisa.
Abiti, mise, abbinamenti coloratissimi ed eccentrici, improbabili, come in un mash-up tanto fantasioso quanto frutto di sedute non proprio sobrie tra anni cinquanta e pop art; mentre, dal lato caratteriale, un concentrato di ingenuità pura, spontaneità spinta, indole solare, adorabile goffaggine: una figura insomma costruita per piacere, per cercare l'effetto simpatia. Evidenti in tal senso inoltre le costrizioni erettele intorno: la famiglia, che deve aiutare economicamente (l'argomento crisi tira sempre), e l'inetto fidanzato dal tasso d'idiozia elementare.
Tutto un po' troppo: il personaggio suscita sì risposte favorevoli come pure, a tratti, moti d'irritazione. Emilia Clarke, che la interpreta in versione "nature" (a proposito, curioso il cortocircuito gameofthronesiano, quando lei, la celeberrima adorata Daenerys Targaryen-Khaleesi-Madre dei Draghi ecc., e Charles "Tywin Lannister" Dance sono soli nella stessa stanza: viene naturale immaginare/invocare un infuocato "Dracarys!" lanciato sull'odioso Lord di Castel Granito!), mette dedizione alla causa e un bagaglio di smorfie, facce, reazioni disegnate chiaramente sul volto, e fisico lontano dall'algida perfezione di bionde modelle. Lodevole l'impegno (e il palese tentativo di allontanarsi dall'ingombrante ruolo che le ha dato popolarità), altalenante la resa - più per come è impostata Louisa che per demeriti propri -, discreta l'intesa con Sam Claflin: giusto dare tempo all'evoluzione del loro rapporto (si deve la svolta a un film francese con i sottotitoli ...).
Attorno a loro, gli altri personaggi (familiari, conoscenti, terapisti, amici e vecchi amici, comparse) s'aggirano in maniera intuibile, convenzionale.
Come convenzionalmente viene proposto, trattato, liquidato il delicatissimo tema dell'eutanasia: i toni sono (giustamente) seri e misurati, la risoluzione facile, superficiale.
Soprattutto per quelli che sono gli (indigesti) effetti, ovvero l'immancabile edificante messaggio finale - da romanzo Harmony - sul vivere e vivere con audacia, aprirsi al mondo eccetera.
Nuove prospettive per la protagonista, vecchi sermoni per lo spettatore.
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