Regia di Jaume Collet-Serra vedi scheda film
E subito dopo la meravigliosa sorpresa di "The Witch" ecco un'altra perla di fine estate, con la differenza che l'altro aveva -a fronte di un prevedibile flop commerciale- conquistato i cuori di non pochi cinefili, mentre questo sta riscontrando l'effetto contrario: i critici lo snobbano ma il pubblico sta accorrendo. E che "Paradise Beach" possa piacere alle masse da multisala è perfino ovvio, dato che emana (almeno a livello superficiale) un fascino da teen horror (cosa che non è nel modo piu' assoluto). Anch'io a giudicare dal soggetto e dai manifesti m'attendevo una boiatella destinata ai bimbiminkia e invece è una pellicola che ho adorato. Forse anche perchè ha toccato in me corde dell'anima inconsapevoli e misteriose ma ha di sicuro fatto centro nei miei gusti. Innanzitutto è fuorviante accostarsi al film come ad un horror da "brividini estivi". E' molto ma molto di piu'. E' un film che punta l'obbiettivo su temi importanti che attengono alla natura umana, come la solitudine, la nostra potenzialità nel reagire al pericolo estremo e a cui non siamo abituati e soprattutto -sfruttando una performance di Blake LIvely che io ho trovato mostruosa- un porre sotto la lente UN CORPO. Il corpo di una donna molto bella (e la Lively è di una bellezza abbacinante) destrutturarlo, smontarlo, annullarlo, esplorarlo quasi in ogni millimetro della propria superficie devastata dalla fatica e dai morsi degli squali, quasi a trasformarlo in un Corpo Santo, reso tale dal sacrificio estremo della carne. Ecco, questo aspetto mi ha quasi sconvolto perchè il bravissimo regista Jaume Collet-Serra con la splendida complicità di un'attrice straordinaria ha saputo mostrarci mirabilmente la trasfigurazione di Un Corpo, quasi il dolore estremo ne decretasse la Santificazione. Vabbè secondo qualcuno starò delirando e vedendo quello che non c'è in un semplicissimo horror ma -lo ribadisco- qui siamo a distanze siderali da un film giovanil-ruffiano. E ripenso a quella camera che non fa che inquadrare il corpo-non corpo di Blake Lively, inducendoci quasi a dimenticare che si tratta di una donna splendida, perchè poi a prevalere è l'umana pietà per la sua estrema sofferenza. C'è -sì- qualche attimo di cedimento a suggestioni pop (esempio: le scene iniziali di surf su sfondi musicali "disco", ma ci stanno tutte, ad esaltare il contrasto tra la spensieratezza delle prime immagini e la cupa tragedia successiva). A proposito di musiche, nota di merito al bravo e navigato Marco Beltrami che ne è l'autore. La storia è minima ed essenziale. Una turista texana in cerca di sè stessa si inoltra nelle acque dell'oceano per surfare sulle onde e si trova distrutta e solissima aggrappata ad uno scoglio attorno al quale nuotano gli squali affamati attirati dalla carcassa di una balena (unico testimone silente un gabbiano ferito). Detta così pare veramente una storiella estiva che cerca l'effetto horror di bimbiminkia ghignanti. Ma credetemi. Non è affatto così.
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