Regia di Fede Alvarez vedi scheda film
Dramma dell'assedio che parte con le solite riflessioni sociali sulla deriva microcriminale del sogno americano per rivelarsi nel prevedibile gioco al massacro di una 'Casa nera' trasformata nel cul-de-sac di una trappola per topi.
Tre giovani topi d'appartamento, dopo una serie di colpi fortunati, decidono di svoltare con un furto all'apparenza facile e che gli garantirebbe di abbandonare le loro misere vite nella periferia degradata e povera di Detroit. La loro vittima designata, un ex reduce cieco che vive isolato con un bel malloppo sotto il mattone, si rivelerà una persona molto diversa da quella che avevano immaginato.
Ribaltando l'assunto per cui l'inerme vittima di un furto dovrebbe essere il soggetto più indifeso e il diritto di ogni cittadino americano a difendere la proprietà privata con l'uso incondizionato della forza un principio costituzionalmente garantito, il giovane regista uruguayano Fede Alvarez asseconda il target thriller-horror della Ghost House dello specialista Sam Raimi in questo dramma dell'assedio che parte con le solite riflessioni sociali sulla deriva microcriminale del sogno americano per rivelarsi nel prevedibile gioco al massacro di una 'Casa nera' trasformata nel cul-de-sac di una trappola per topi. Forte di una sceneggiatura che sa creare empatia con i tre giovani scapestrati che vogliono staccare il facile biglietto per una lontana destinazione tropicale e delineando un rapido spaccato sociale di insoddisfazioni e frustrazioni familiari, il film di Alvarez si preoccupa prevalentemente di imbastire la sua anima action nel virtuosismo scenografico di una messa in scena che sa sfruttare abilmente spazi chiusi, scarsa illuminazione e regole di ingaggio che sciolgono la tensione accumulata nei frequenti e sanguinosi colpi di scena all'arma bianca. Insomma, un film di genere senza lode e con qualche infamia che imbastisce il suo repertorio citazionista mescolando il robbery-movie alla The Town (se non è Boston, è Chicago o Detroit; poco cambia) con la prevedibile autodifesa di uno strampalato Zatoichi che ha adottato un cane idrofobico alla Sam Fuller e che si comporta nè più nè meno come un laido carceriere alla The Captive (o Prisoners, fate voi), solo con motivazioni appena meno infamanti. Detta così fa un pò sorridere e per la verità tra una scena splatter e l'altra, il ridicolo involontario di questa caratterizzazione di un cattivo dagli occhi bianchi, abile nell'uso della spada come in quello delle pipette per l'inseminazione artificiale, non stenta ad emergere finendo per alleggerire la tensione e concedere le meritate pause per una sana risata liberatoria. Sbrigativo e superficiale nel primo quarto d'ora di preparazione al colpo, diventa meccanico e un pò ripetitivo nella rimanente parte di una esecuzione criminale (capitale?) che, tra istinto di sopravvivenza e brama del possesso, fa di tutto per non brancolare nel buio. Caruccia la scena nella quale la bella biondina di turno con esperienze pregresse, salva capra e cavoli riuscendo, mentre lei ne esce, ad intrappolare in macchina il feroce mastino a guardia del bottino. Attori tanto inesperti quanto gli sprovveduti rapinatori che sono chiamati ad impersonare. Finale che preannuncia un possibile sequel, con lei che fugge sulla West Coast ed il suo omertoso paparino putativo che si ripromette una sanguinaria adozione filiale...non a distanza.
"Non c'è niente che un uomo non possa fare una volta che ha accettato il fatto che Dio non esiste". Sì, tipo un film come questo!
"E tu che intanto sogni ancora
sogni sempre sogni di fuggire via...
di andare lontano lontano
andare lontano lontano..."
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