Regia di Gore Verbinski vedi scheda film
Affascinante thriller a tinte cupe in cui Gore Verbinski sembra volersi avvicinare al gotico più classico. A una prima parte eccellente segue una seconda meno efficace, ma resta un lavoro decisamente interessante
Roland Pembroke, amministratore delegato di una società di Wall Street sparisce in un centro benessere svizzero proprio nel momento in cui l'azienda ha in ballo una fusione dal cui buon esito dipende la sua sopravvivenza, di lui solo una lettera delirante in cui annuncia la sua volontà di abbandonare il mondo cui era fino a quel momento appartenuto. E così Lockart, giovane manager dalla smodata ambizione e dalla scarsa etica, viene inviato nel cuore dell'Europa con lo scopo di riportare a New York il signor Pembroke, la cui assenza rischia di mandare a monte i piani del consiglio di amministrazione.
Lockart scopre così che il luogo di cura, situato in un tenebroso castello nel cuore delle Alpi Svizzere, è quanto di più diverso ci possa essere dal moderno concetto di SPA.
Inutile aggiungere che l'operazione “recupero amministratore delegato pentito” si rivela molto più ardua del previsto e il giovane cinico si troverà a fare i conti con una serie di demoni interiori/esteriori, reali/fantastici, che lo porteranno sulla strada della follia.
Alla luce di quanto sopra sembrerebbe che questo La Cura del Benessere possa essere riassunto in una sorta di “ritorno alle origini” del regista Gore Verbinski, riferendoci ovviamente a quel The Ring che aveva rappresentato il primo grande successo della sua carriera.
Sembrerebbe, appunto, perché in realtà questa pellicola pur potendosi inquadrare nel generico filone dell'horror si distanzia decisamente dal remake del film di Hideo Nakata.
Siamo nell'ambito del thriller gotico, una storia di ossessioni e misteri in una ambientazione che rimanda ai grandi classici del genere, in merito ai quali non mancano riferimenti e citazioni.
L'ascesa alla clinica/castello tra i tornanti delle montagne nelle battute iniziali non può non far tornare alla mente le scene della salita all'Overlook Hotel, così come il momento della resa dei conti, su cui non diciamo nulla per evitare anticipazioni non gradite, rimanda a un caposaldo come Il Fantasma dell'Opera.
In generale comunque le atmosfere cupe e claustrofobiche dimostrano come Verbinski abbia fatto riferimento a quella cinematografia di taglio “gotico” appartenente ormai a pieno titolo alla storia della settima arte.
Non mancano poi i simbolismi sulla morte e la rinascita, in particolare l'anguilla che compare quasi dall'inizio effigiata sul cancello di accesso alla magione per poi tornare continuamente nel corso della narrazione. Questo animale nel simbolismo esoterico rappresenta il cambiamento e la trasformazione, e anche questo alla luce di come si dipanerà la vicenda non pare affatto casuale.
Ricco di interessanti suggestioni ottimamente sfruttate nella prima parte, il film presenta però un certo calo nella seconda quando i nodi vengono al pettine. La presunta rivelazione finale è ampiamente intuibile dagli elementi sparpagliati nel corso della narrazione che non possono sfuggire all'attenzione dello spettatore più accorto.
Tuttavia nonostante non tutto giri alla perfezione La Cura del benessere resta una affascinante operazione che risulterà gradita a chi ama il genere, per di più con l'indubbio merito di proporre immagini di grande suggestione.
Da questo punto di vista assolutamente felice è apparsa la scelta delle location, il castello reale di Hohenzollern nella Svevia per gli esterni e l'ospedale abbandonato di Beelitz, nel Brandeburgo, (che ebbe tra i suoi pazienti un certo Adolf Hitler) per l'opprimente ambientazione interna.
Buona la prova dei giovani Dane DeHaan e Mia Goth (già il nome sembra indicare un destino) nei ruoli rispettivamente del rampante prima e sempre più sconcertato poi Lockart e di una affascinante e tenebrosa fanciulla, Hannah, unica ricoverata giovane in una clientela di persone anziane e facoltose (qualcuno maliziosamente pensa a Sorrentino e a un Youth versione horror? Non mi pronuncio), eccellente, ma non ci stupisce, l'interpretazione di Jason Isaacs.
Un lavoro non del tutto riuscito dunque, ma assolutamente godibile, astenersi però se non amanti del gotico classico.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta