Regia di Amma Asante vedi scheda film
Una storia d'amore impossibile che anticipa problematiche di tolleranza ed equilibrio socio-economico tra due continenti, all'interno di un melodramma eccessivamente concentrato sulla forma, ove la patina della formalità soffoca l'impegno e la denuncia presenti e a tratti ben impostati.
Il principe e la dattilografa.
L'erede al trono dello stato sudafricano che in seguito venne chiamato Botswana, a fine anni '40 si trova a Londra per completare gli studi che gli permettano di tornare in patria forte di una cultura europea in grado di poterlo confrontare con la predominanza britannica, di cui "la tribù" è commercialmente suddita. La presenza degli inglesi serve allo stato anche per scongiurare l'annessione al Sudafrica delle diseguaglianze e dell'apartheid.
Seretse Khama deve tornare per prendere il posto dello zio, che regna provvisoriamente sostituendo il fratello prematuramente scomparso. Alla vigilia della partenza, il riottoso ma vitale ragazzo conosce ad una festa di una associazione religiosa pro-immigrati, una bella coetanea inglese, bionda e longilinea di nome Ruth Williams, che ricambia le sue attenzioni.
L'amore che condividono disegna già da subito i tratti di un futuro movimentato e teso, contrassegnato da una passione totale reciproca che li aiuta a cercare di superare ostacoli spesso insormontabili: conosciuta la vera identità del ragazzo, la giovane donna non si tira indietro di fronte ad una proposta di matrimonio, riuscendo a sopportare anche la necessità di essere cacciata di casa.
Seretze invece si scontra con l'ostilità dello zio, davvero incredulo di poter acconsentire ad una unione impossibile, inadeguata, scandalosa e lesiva di un equilibrio in grado di consentire al paese di restare una colonia soggiogata dalla predominanza britannica, ma salvaguardata dal pericolo di annessione col Sudafrica invadente e razzista.
La regista Amma Asante firma un melò che non nasconde riminescenze stilistiche di molto cinema del passato: un film che sembra contemporaneo alla sua ambientazione temporale tanto appare confezionato con cura e con i toni di denuncia di molto cinema classico anni '50.
La vicenda appare tuttavia molto frettolosa e organizzata secondo sfumature e afondi sfdolcinati nel suo veloce incipit londinese, per poi concentrarsi sin troppo presto sulle burrascose vicissitudini che una tale unione è stata in grado di provocare nel già difficile tentativo di trovare una stabilità ad uno dei paesi più poveri del continente africano a livello di condizioni della popolazione, ma al contrario economicamwnte più ricchi in termini di risorse del sottosuolo, e per questo tanto conteso tra Britannici e Sudafricani.
La seconda più abbondante parte, dedicata a qeusto secondo aspetto politico economico, appare condotta in modo più lucido, approfondito e sincero, ma il film continua a soffrire di una eccessiva maniera e di una formalità di fondo che uccide ogni sincerità di denuncia e di impegno civile-politico.
Funzionali e gradevoli, ma vicini alla stucchevolezza in più occasioni, i pur impegnati e bravi David Oyelowo e Rosamund Pike, tozzo e palestrato come un pugile lui, algida e svettante oltre dieci centimetri sul partner lei.
La Asante si perde in riprese contemplative che guardano a La mia Africa, ma non riesce ad evitare che troppa patina svilisca tematiche di fondo sacrosante ed una storia di vita e di coppia a suo modo straordinaria e vera, inutilmente edulcorata da una messa in scena eccessivamente ridondante.
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