Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Dal venditore di scarpe di via del Corso a Roma che accompagna il figlio ad un campus a Miami, alla sciura lombarda che altrettanto fa con la propria erede, dal trio di ragazze che si imbarcano per la località statunitense per partecipare ad un festival di musica techno, al padre di una di loro che si getta all'inseguimento, aiutato da un giovane italiano nullafacente che ciondola per la spiaggia, i fratelli Vanzina ripartono per l'estero: naturalmente, negli USA tutti parlano italiano, certo, e tra "burinate" e ammiccamenti a vuoto al mondo giovanile, la pretesa è di far ridere, ma anche di raccontare uno spaccato della società, come tuttavia qualche recensore attribuisce loro. Vedendo "Miami Beach", sorgono, nella noia perpetua del solito soggetto fatto di sbandate sentimentali e figuracce da cafoni rileccati, alcune domande: come fanno tre diciassettenni a scapparsene in America, e restarci per almeno una settimana, con quali soldi si pagano viaggio, vitto ed alloggio? Come mai una bella cameriera cubana sui pattini, in tutta Miami, va addosso tre volte a Ricky Memphis e la cosa viene gestita senza senso fino alla fine, dato che poi è un altro a goderne le grazie? Qual'è la ragione per cui nei film dei Vanzina, in trentacinque anni e passa, nonostante la crisi economica che ha colpito un pò tutto il pianeta, ogni personaggio fa una vita da spendaccione, non lavora e ha sempre un sacco di tempo a disposizione? E, per finire, ha ancora senso fare commediole che non strappano una risata neanche sotto sforzo, con una sceneggiatura scritta su un foglio A4, davanti e dietro magari, ma non di più, e che incassano, come nel caso, 700 mila euro? Non pare sia il caso, no. Sul cast, che semplicemente figura nelle inquadrature, non c'è da infierire, le ambientazioni, benchè esotiche, paiono sempre asfittiche, e se l'obiettivo era acchiappare anche le nuove generazioni, non sembra andato a buon fine.
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