Regia di Michel Ocelot vedi scheda film
Nell'arco di pochi mesi il cinema ha riscoperto il fascino radioso della Francia di fine '800 con alcuni film molto diversi ma molto interessanti. Tra questi "Cyrano, mon amour" di Alexis Michalik esaltava la parte più glamour della Belle Époque mentre "J'accuse" la parte meno nobile ed ambigua. Entrambi svelavano il volto di una Parigi complessa, contradditoria ed effervescente la cui aurea immortale ci è stata tramandata dalle stampe e dalle tele dei pittori ma anche dalla prosa, dal teatro, dalla moda, dai pranzi sull'erba, fino agli iconici balli del Mouliné Rouge. Apppagato dell'esperienza immersiva nella Francia di fine secolo ricreata dai precedenti titoli non ho saputo resiste alla seduzione esercitata dall'animazione di Michel Ocelot che ha ambientato il suo "Dilili a Paris" nella stessa epoca storica.
Protagonista del feuilleton è la piccola Dilili, bimba di origini "canaque" giunta clandestinamente in Francia insieme alla "contessa" Louise Michel dopo una lunga traversata oceanica. Introdotta alla lingua francese durante il viaggio, la ritroviamo, loquace ed istruita, mentre presta il proprio corpo ad una bucolica rappresentazione del villaggio tribale all'interno dell'esposizione universale avvenuta nel 1889 nella capitale parigina. Il giovane Orel, fattorino dalle idee progressiste, avvicina Dilili e ne diventa amico mentre la coinvolge nella risoluzione di un misterioso caso ovvero il rapimento di donne e bambine per mano di una società segreta dal nome inequivocabile, "i maschi maestri", che vorrebbe annullare ogni diritto faticosamente conquistato dalle donne fino a quel punto della storia. Nel risolvere il caso Orel e Dilili si avvalgono dell'aiuto delle più importanti menti di Francia in una carrellata di pensatori e geni che hanno contribuito alla fama della Belle Époque.
Il film di Ocelot ha una funzione celebrativa e non certo storiografica. Gli avvenimenti sono citati con le opportune licenze narrative al fine di ricreare un'epoca passata agli annali. Se teniamo buona la data dell'espozione (1889) tutti gli altri avvenimenti risultano anticipati o posticipati. Il ritorno di Louise Michel dalla Nuova Caledonia avvenne nel 1880, ben prima dei natali della piccola protagonista. Sarah Bernardt invece rientró dalla celebre turné americana solo nel 1893, a quattro anni dall'Expo parigino. Nel boudoir dell'attrice Sarah Bernardt si consuma l'incontro con Marie Curie e Louise Michel che discutono dello stato di subalternità della donna, di diritti civili, di razzismo e di complotti. L'affaire Dreyfus sarebbe scoppiato nel 1894, cinque anni più tardi ma la conversazione cade immancabilmente su di esso anche senza citazioni dirette. L'anarchica pensatrice Louise Michel e la famosa attrice Sarah Bernardt sono solo alcune delle donne che aiutano la piccola Dilili a liberare il genere femminile dalla schiavitù. Tra le altre la scienziata Marie Curie ebbe un ruolo accademico di non poco conto in un'epoca in cui le donne erano viste solo come madri e mogli. Ocelot cita inoltre la scultrice Camille Claudel e Colette diva a tutto tondo tra letteratura e teatro.
C'è posto anche per gli uomini nella luminosa opera di Ocelot. Louis Pasteur cura il giovane Orel, Gustav Eiffel aiuta i due giovani mettendo a disposizione la torre simbolo dello sviluppo tecnico-scientifico di fine secolo mentre Alberto Santos-Dumont offre, con una decina d'anni di anticipo, un dirigibile di sua costruzione per completare l'impresa patrocinata dal soprano Emma Calvé. Altri occupano posizioni di contorno nell'elegiaco racconto di Ocelot. Ci sono Degas, Picasso, Renoir, Monet, Debussy, Rodin, Edoardo d'Inghilterra e un ironico Toulouse de Lautrec che accompagna Dilili nei luoghi della perdizione maschile tra ballerine e calici d'assenzio. Se la trama è poco più di un pretesto e il racconto assume la connotazione della fiaba, il messaggio ricopre un ruolo preponderante nel ribadire la centralità dell'istruzione nel ribaltare il pregiudizio sociale. Un messaggio attualissimo se si pensa ai tanti femminicidi e alle difficoltà delle donne ad imporsi a livello sociale ed economico. Debellare il male dell'ignoranza è una necessità per il cineasta francese che ha scelto uno dei più floridi periodi della storia del suo paese per decantare le meraviglie delle arti e delle scienze, veri motori di una società in evoluzione e senza diseguaglianze religiose, sociali e razziali. Sulla questione razziale Ocelot si espone senza tanti giri di parole tirando in ballo la sedicente legge della "fisiognomica" (la bambina scimmia e l'autista porco) e dipingendo la pelle della piccola Dilili di un nocciola troppo chiaro per essere canaque e troppo scuro per essere europeo. Mal voluta dai melanesiani e dai francesi per il colore della pelle Dilili non ha problemi a farsi accettare in un ambiente istruito che ha abbandonato la stoltezza della superstizione con la bellezza dell'intelletto. Ocelot confeziona intorno al messaggio un involucro di immagini piuttosto statiche animate da personaggi sgargianti. La distribuzione del colore è perfettamente omogenea creando un effetto a macchie sullo schermo. Il tratto è liscio e la pennellata uniforme tanto da appiattire ogni prospettiva. Il disegno elementare che ricorda la pittura etnica quanto le stampe di fine '800 si sontrappone ai fondali parigini, fotografati dall'artista, perciò ricchi di dettagli quanto un mobile dell'epoca lo è di preziosi intarsi e modanature. Con i suoi colori accesi "Dilili a Paris" buca lo schermo e racconta un mondo sfavillante di bellezza contrapposto ad un mondo scuro e senza luce ammantato di miseria e facile credulità. Dilili a Paris è il tentativo amorevole di riportare luce e brillantezza nella società contemporanea affidatasi da tempo a slogan e social media in un contesto di analfabetismo funzionale molto simile a quello di un secolo fa. Un tentativo lodevole ma che a ben vedere rimane ancorato alla fruizione di una fetta di consumatori già abituata a processi di selezione più rigorosi e ad una critica costruttiva sulle disfunzionalità della contemporaneità.
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