Regia di André Téchiné vedi scheda film
L’età acerba non è solo il titolo del capolavoro di André Téchiné, puntualmente citato in quasi tutti i commenti sul suo ultimo lavoro, ma anche la stagione della vita che un certo cinema francese ha saputo raccontare con lucida comprensione e spesso senza afflati retorici. Quando hai 17 anni è un nuovo, asciutto, luminoso capitolo di questo filone che Téchiné costruisce quasi collegandosi alle atmosfere del film del 1994: la nascita dell’amore tra due ragazzi che hanno paura di coltivare quel sentimento. A differenza di altri esempi affini, la particolarità più evidente sta nella scelta di un contesto non urbanizzato, un paese incastonato tra le montagne in cui nevica per buona parte dell’anno scolastico e un sole caloroso bacia la bella stagione. Sulla dicotomia tra città (nella fattispecie Parigi) e provincia si sono esercitati molti autori e mi piace ricordare uno dei più belli e strazianti film d’amore recenti, Sarà il mio tipo?, fondato proprio sull’incontro tra un filosofo snob e una parrucchiera cheap.
Qui il confronto, prima che amoroso, è sociale: Damien è figlio di un pilota in guerra e di un medico condotto, Thomas è stato adottato da una coppia di allevatori. Borghesia e ruralità in un contesto comunque lontano dalla pazza folla. Inizialmente legata al bullismo, la relazione tra i due ragazzi è una commovente dissimulazione: la rabbia che lasciano esplodere nei loro momenti rissosi non ha alcun motivo ragionevole al di là dell’evidenza dell’amore. Si potrebbe dire che si menano per capire ed accettare che si amano, che la violenza è la prova coreografica del rapporto erotico che rifiutano di mettere in conto. Interessato al passaggio in cui il legame si evolve, Téchiné pedina i suoi personaggi in un’educazione sentimentale irosa e romantica, non eludendo le tappe più complesse (l’incontro di Damien con un adescatore quarantenne) né quelle più prevedibili (i destini dei genitori, l’esito della storia d’amore).
Il regista si abbandona all’incanto della natura che con l’alta quota si fa più incontaminata e misteriosa (le impronte dell’orso), non cadendo nella trappola del panismo lirico ma esaltando il luogo nella sua assenza di ostilità con l’umano (Thomas si fa il bagno nel fiume a temperature gelide). Sta addosso ai ragazzi con pudica grazia, evita costantemente la pornografia sentimentale della retorica e della banalizzazione, capisce e sa raccontare i problemi che implica la scoperta della propria sessualità (lo scorcio, da lontano, di Damien in camera che accenna ad un autoerotismo con Thomas nell’altra stanza), non vuole mai costruire un film sul messaggio che sottende una storia siffatta. Anche laddove si scorge un eccesso di prevedibile scrittura, Téchiné fa percepire la leggerezza del cinema umanista. Che gli permette di dirigere con la stessa partecipazione l’esperta Sandrine Kiberlain (la dolente e tranquilla potenza della sua madre è struggente) e i giovani e straordinari protagonisti.
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