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La La Land

Regia di Damien Chazelle vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su La La Land

di M Valdemar
9 stelle

 

locandina

La La Land (2016): locandina

 


La vita non si può riscrivere, l'amore neppure.
Le stagioni della vita scorrono, scandiscono fasi e sospensioni e rifioriture, dettano il ritmo di impulsi e abbandoni emozionali.
Ma non possono ripetersi, incidere nuovi solchi nel ciclo/disco della storia. Una partitura già vis(su)ta, una landa desertica abitata da icone e immaginario noti, dunque? Sì.
L'Arte però da sempre ambisce alla riscrittura, alla rappresentazione e alla rielaborazione del testo, all'estrinsecazione delle note esistenziali, alla ricerca espressiva della sinfonia dell'universo impossibile dei sentimenti e degli affetti.
Pur suonando, sempre, inevitabilmente, la stessa melodia.
E quale miglior modo di realizzarlo se non tramite il luogo musicale cinematografico per eccellenza?
Il jazz, quantunque scansato o finanche “detestato” (come ammetterà candidamente l'aspirante attrice Mia al nostalgico, rigoroso pianista Sebastian), destruttura e ristruttura, scompone e ricompone, cattura e restituisce il riverbero delle cose tutte, vive e rivive per mezzo degli elementi della “band”, del “cast”, della natura.
Quella “reale” e quella riflessa nel/dal mondo della finzione.
L.A., la terra delle Stelle (paradigmatico, spettacolare, “vero” – perché filtrato attraverso gli stereotipi e gli archetipi del cosmo di/su celluloide – il meraviglioso ballo di Mia e Seb tra le luci e i suoni e le linee della mappa delle stelle).
Non sterile filologia né mortifera celebrazione: la forma musical/musicale – peraltro ibrida, non dominante o soffocante o ancora pretestuosa, e sempre in punta di grazia (insomma, “fa bene” anche agli “allergici”) – afferra e sublima i codici del genere, instilla le vibrazioni (stupendamente) citazioniste, coreografa movimenti e accordi dell'architettura narrativa, per farsi lettura e rilettura, nonché (tras)portatrice intrisa di una soavità che carezza l'animo, di un'idea.
L'idea che Damien Chazelle fissa e orchestra con lirici virtuosismi immersivi, sequenze avvolgenti, numeri vorticosi e rutilanti, intensità costante e crescente, fluidità di azione, senso della profondità (dei personaggi, resi e inscenati, scritti, magnificamente; di tempi e spazi e piani): è possibile riprodurre, riscrivere, rivivere una “classica” storia d'amore?
E farlo attraverso un linguaggio classico ma in disuso?
Il finale, meraviglioso, è una struggente sonata per piano che si (e ci) regala l'impossibile, l'illusione delle illusioni; ovvero l'essenza – in filigrana – del Cinema stesso. Impresso, in eterno, su quegli sguardi che Mia e Sebastian (Emma Stone e Ryan Gosling: luminosi, "dentro" il film) si scambiano come espressione e “prova” di un sentimento che esiste e palpita al di là dello spartito.


 

 

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