Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Film che si affronta perplessi e poco fiduciosi ma che poi conquista piano piano, fino a quel finale in cui i due sguardi prolungati oltrepassano lo schermo e giungono dritti al cuore, che, tramortito, una volta uscito dalla sala se li porta fino a casa, facendosi accompagnare dalle lentissime note di City of Stars.
City of stars
Are you shining just for me?
City of stars
There's so much that I can't see
Who knows?
I felt it from the first embrace I shared with you
That now our dreams
They've finally come true
La città delle stelle, più che nel senso astronomico, è la Città degli Angeli, quella delle stelle del cinema e dello spettacolo in genere, noi cinofili incalliti lo sappiamo bene. È la città dei sogni da realizzare e una piccola percentuale di chi ci prova, gente di tutte le razze e di tutti i paesi, con sacrifici e rinunce, in effetti li realizza e continua anche dopo a galleggiare come in un sogno, tanta è la felicità di vivere in quel mondo e in quel modo. A momenti ci sono più stelle che calpestano il suolo della California di quelle che si ammirano in quel cielo e tutti gli aspiranti sperano che prima o poi possano entrare in un café di L.A. tra l’ammirazione dei clienti e uscirne con un paio di bibite offerte dalla casa, mentre fuori c’è in attesa una golf car con autista.
Di certo in quella schiera nutrita di celebrità si è inserito da poco il giovane Damien Chazelle, il quale fattosi conoscere con il ritmato e adrenalinico Whiplash si è ripetuto con successo con l’omaggio più devoto che si sia mai visto negli ultimi decenni per un genere che si era perso nei meandri della memoria cinofila: il musical. Ci vuole coraggio per tentare un’impresa del genere, ci vuole amore per la musica, oltre che per il cinema, ci vuole senso ritmico per accompagnare sequenze e musiche jazz per renderle omogenee e sintonizzate. Inoltre è assolutamente necessario un buon coreografo e una adeguata fotografia che esaltino il primo la parte visiva delle note e degli arrangiamenti sincopati della musica americana e il secondo che con colorazioni nostalgiche faccia tornare in mente il cinemascope degli anni ’50 e’60. Ebbene, questo film realizza tutto ciò e lo fa stupendamente, facendo traspirare dallo schermo l’amore che il giovane regista ha dentro di sé, trasmettendocelo e facendoci partecipare emotivamente alla storia di Seb e Mia.
I sogni, dunque, quelli da “avere” in corpo e nel cuore, perché senza sogni la vita si appiattisce. E per tentare di raggiungere il traguardo imposto la vita mica sta lì a guardare! Pone ostacoli, fa apparire miraggi, devia il percorso, fa affrontare salite impervie, agevola con discese inaspettate; ma soprattutto fa cadere, a volte rovinosamente. Ed è lì che la persona deve trovare la forza di rialzarsi e rincorrere per recuperare il tempo perduto, riflettendo sugli errori, sui momenti di debolezza e di scoramento. E poi può succedere (e succede!) che nel tragitto incontri l’amore. Anzi, proprio come raccontano quasi sempre i registi dei musical, il protagonista cerchi l’amore, che abbia anche il compito, oltre che riempire la vita, di rincuorare e sorreggere nei momenti difficoltosi. Ma la rigidità del carattere non aiuta mai, né in questo caso né in altri. Il sogno, l’amore e quindi, inevitabilmente il compromesso. Senza un onorevole e dignitoso compromesso non si arriva ad alcun traguardo e se per caso si riesce a farne a meno prima o poi si crolla con grande fragore: la rigidità senza l’elasticità adeguata spezza anche le strutture che sembrano robuste e indistruttibili.
Sebastian e Mia quindi si son trovati e innamorati e hanno entrambi un grande sogno: l’uno è un dotato musicista con la passione sfrenata per il free jazz, l’altra non riesce ad avere neanche un piccolo ruolo su un palco di teatro o in un set cinematografico; Seb tira avanti con qualche serata nei night club suonando con malavoglia jingle e brani da sottofondo, Mia servendo in un bar frequentato anche dalla dive che ammira. Lui sogna di aprire un locale tutto suo per poter suonare e far suonare il suo amato jazz; lei è dotata ma nessuno se ne accorge e solo un suo personale scritto potrà farla notare e lanciarla nello star system, come la incoraggia a più riprese Seb. Si incoraggiano e si sostengono, in attesa della buona occasione: con l’amore si va dappertutto, si possono realizzare anche i sogni del cassetto. Ma quando l’opportunità si materializza il destino chiede la rinuncia, o per lo meno il rinvio o lo standby. Invece Mia l’occasione non la vuole sprecare. È il momento del compromesso morale, della scelta della vita: rinviare, aspettare, scegliere. L’amore o il successo, l’uno vero ed esistente, l’altro quello probabile e senza sicurezza di riuscita. C’è il rischio che seguendo uno si perda l’altro, oppure temporeggiando si potrebbero conservare entrambi. E Mia sceglie. In quel decisivo momento lei non riflette molto, non ragiona sul fatto che compromesso vuol dire rinunciare ad una parte di sé per non perdere nulla dell’altro, che compromesso significa dare qualcosa di sé per ricevere tutto dall’altro. Quando non lo accetti ne paghi le conseguenze. E quando Seb e Mia si ritrovano è troppo tardi e ognuno ha ormai il suo destino.
Damien Chazelle ha fatto un lavoro eccellente, affidandosi alle musiche scritte dal fidato amico Justin Hurwitz, anche compagno di studi, riprendendo il senso del drammatico già presente nel film precedente e innaffiando l’opera con una abbondante dose di romanticismo, che svolta al mélo solo nel finale quando il destino si compie. E come in Whiplash, nelle storie scritte da Chazelle non c’è spazio tra sentimento e arte, non c’è un’intercapedine in cui si possa manovrare: come l’Andrew di Miles Teller deve rinunciare alla ragazza per studiare meglio la sua dannata batteria, Mia deve partire per Parigi per realizzarsi mollando l’inebetito Seb: o gloria o amore. È una scelta dura quella che impongono i destini di Chazelle, sono scelte che frantumano il cuore dei romantici, i quali ovviamente tifano per il trionfo del sentimento. La narrazione del film è da commedia, con temi musicali molto piacevoli, alcuni dei quali ripetuti con ritmi diversi o timbri adeguati al momento emozionale, con balletti che paiono estrapolati dai più noti musical del passato, in coppia o in gruppo come tradizione comanda, ma quella vena di malinconico che si avverte sottotraccia non abbandona mai il filo narrativo, come se qualcosa di inevitabile e amaro debba prima o poi accadere. E accade, perché prima o poi arriva appunto il momento della scelta, cioè quello di accettare o rifiutare l’idea del compromesso. La tecnica della regia è ormai collaudata e funziona senza alcun intoppo, aiutato da una confortante fotografia piena di colori che spinge al ricordo dei classici: d’altronde il regista non ha mai negato l’influenza ideologica subita dai film di Jacques Demy, a cui dedica più di un omaggio (tra cui un piccolo negozio sulla cui insegna si legge “Parapluies”). E non capisco le inutili polemiche di questi giorni sul raffronto tra Chazelle e gli altri registi dei musical storici: paragone fuori luogo secondo il mio parere, anche perché se prendiamo come esempio Gene Kelly siamo coscienti che questi era un vero e proprio ballerino e coreografo che sapeva anche recitare, mentre il regista di Providence ha chiaramente preferito chiamare due attori bravi – che tirando le somme si son rivelati bravissimi! – che se la son cavata discretamente anche danzando e cantando, senza che noi ci aspettassimo granché. Anzi direi di più: il talento musicale di Ryan Gosling è andato oltre ogni immaginazione, suonando personalmente il pianoforte senza bisogno di mani di controfigure e cavandosela egregiamente, tra lo stupore del regista, dell’autore delle musiche Justin Hurvitz e nostro.
[Composer Justin Hurwitz and director Damien Chazelle were wowed by Ryan Gosling’s piano skills.
“Does Ryan play? He does now! He was lessons 6 days for 4 months. There are no hand doubles or CGI”. “ We almost had a hand double, I just assumed we’d need one. But I went into Ryan’spiano room e few days before shooting and he was playing so well we agreed we don’t need anyone.”]
Senza parlare poi della bravura, della adattabilità, della crescita professionale di Emma Stone che, si può affermare con tutta sicurezza, trova in questa sede un evidente motivo di affermazione tra le migliori attrici del momento e che da questo film troverà maggior slancio per il suo illuminato futuro.
Film che si affronta perplessi e poco fiduciosi ma che poi conquista piano piano, fino a quel finale in cui i due sguardi prolungati – silenziosi ma pregni di affetto, momento che emoziona e che termina con un quarto di sorriso di quella canaglia di Ryan Gosling e un minimo accenno degli occhi - oltrepassano lo schermo e giungono dritti al cuore, che, tramortito, una volta uscito dalla sala se li porta fino a casa, facendosi accompagnare dalle lentissime note di City of Stars.
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