Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
La bellezza dell’amore più profondo, la realtà della vita più comune e l’armonia del musical di vecchia scuola. Lui, lei e il destino, Damien Chazelle e la musica atto secondo. Epifanie immense e solstizi malinconici, con due protagonisti in palla. La vita (che conta) racchiusa in un film.
Venezia 73 – concorso ufficiale.
Nel secondo lungometraggio di Damien Chazelle c’è ancora tanta, tantissima, musica ma rispetto al pluripremiato Whiplash, l’autore ne fa un utilizzo opposto, quasi a voler rispondere a quella parte di pubblico, e critica, che, per averne fatta un’ossessione, lo aveva considerato eccessivo.
I toni sono quindi molto diversi, mentre le ambizioni abbondano - così come i premi che è ipotizzabile conquisterà - sotto parecchi punti di vista.
Mentre Mia (Emma Stone) passa da un’audizione all’altra nella speranza di diventare un’attrice, Sebastian (Ryan Gosling) sogna di aprire un locale jazz tutto suo e nel frattempo fatica a mantenere l’incarico da pianista in quanto poco incline a rispettare le richieste dei suoi titolari.
Dopo un paio d’incroci estemporanei, i due cominciano a frequentarsi, scatta la scintilla, mentre i loro desideri di carriera si frappongono sulla strada dell’amore che li vede protagonisti.
La la land sprizza vitalità e volontà - di catturare l’attenzione, stupire, scatenare un’emozione e proporre tutto ciò cui l’autore tiene - da tutti i pori, fin da una partenza in pompa magna che trasforma una coda di automobili in un numero musicale mozzafiato.
Qualità che fanno rima con ambizione, consapevolezza dei propri mezzi e degli obiettivi da conseguire. Damien Chazelle utilizza più stratagemmi, partendo da una divisione della trama in quattro - più uno - atti, in riferimento alle stagioni (anche del cuore) e un doppio inizio che viaggia sulle rispettive prospettive dei due protagonisti assoluti con un flebile aggancio a legarle.
Su tutto brilla l’amore, abbondante e declinato in varie modalità; il più classico tra un uomo e una donna, quello per la musica jazz (il vero jazz, quello che non ascolta(rebbe) più nessuno) e il musical, agganciato al mondo reale, al quale si collega un sentito, e furbo quanto volete, omaggio al cinema classico, con dichiarazioni esplicite a Casablanca e Gioventù bruciata e non ultimo quello per i grandi divi ai quali Ryan Gosling, in versione ciuffo ribelle, ed Emma Stone, con occhi da cerbiatta annessi a sorrisi immensi e, all’occorrenza, fiumi di lacrime - per la terza volta insieme dopo Crazy, stupid, love. e Gangster squad - fanno il verso fin dalle movenze (e lo stesso vale per J.K. Simmons, presente per pochi minuti e anello di congiunzione con Whiplash).
E con il sentimento del cuore per antonomasia, ecco i sogni da poter realizzare nella città delle star, dove la venerazione ha soppiantato ogni forma di valore e, nonostante tutto l’impegno spendibile per diventare un’attrice affermata o aprire un locale jazz, la vita rimarrà sempre un puzzle al quale mancherà irrimediabilmente un pezzo. Tragicamente, potrebbe anche essere quello più importante di tutti, in grado di riaprire, prima o dopo, uno squarcio d’immaginazione che racchiuda un’essenza di dubbi, rimpianti, sogni e consapevolezze di anni vissuti rimuovendo un pezzo fondamentale di se stessi.
Per raccontare tutto questo, Damien Chazelle si sdoppia in quattro, partendo da una divisione in atti, o meglio, capitoli stagionali – inverno (le delusioni), primavera (le opportunità), estate (l’idillio) e autunno (un nuovo equilibrio da ricercare), più il futuro anteriore – con numeri da musical senza tempo e ventate di leggera poesia romantica, con i sognatori che non temono i fallimenti dato che l'importante rimane osare, non lasciare cadere nel nulla una qualsiasi opportunità. La la land è una pellicola disegnata con grazia - e ancor prima pensata - in grande stile hollywoodiano, sospesa e contemporaneamente ancorata tra un passato risvegliato da un lungo torpore e il moderno, installato tra più pieghe, sicuramente conscio di ricercare un ampio gradimento, il piacere più candido, anche se alla base rimane la scelta, d’autore - incredibilmente navigato seppur alle prime armi - di far prevalere un velo di apprezzabile e corroborante malinconia, un mood che unisce tutti sotto lo stesso cielo (prima o dopo), anche se vige la tendenza di esternare illusori sorrisi per nasconderla.
Un inno all’incanto, del sentimento e del cinema, per un possibile instant cult.
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