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La La Land

Regia di Damien Chazelle vedi scheda film

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La recensione su La La Land

di Spaggy
9 stelle

Una giornata qualsiasi di traffico nelle railways di Los Angeles. Dalla radio di un’automobile persa nel traffico parte una canzone. La donna al volante è colta dall’irresistibile voglie di aprire le danze: lascia l’auto della realtà e si catapulta in un numero di danza corale insieme agli altri impazienti automobilisti. Inizia con il botto La La Land, opera terza di Damien Chazelle. In mezzo all’inferno del traffico si trovano anche Seb, musicista jazz reduce da una disastrosa situazione sentimentale e lavorativa, e Mia, aspirante attrice che si guadagna da vivere in un caffetteria all’interno dei favolosi Warner Studios. Il primo incontro tra i due non è il massimo: chi è rimasto almeno una volta in coda per una strada trafficata, sa bene cosa può accadere tra il guidatore dell’auto davanti ferma e quello dell’auto dietro, impaziente di proseguire la sua marcia.

Come spesso accade con le più grandi storie d’amore della nostra vita, è difficile che il destino non ci metta mano. Qualche tempo dopo, Seb e Mia si incontrano nuovamente in un’altra situazione limite. Seb è stato appena licenziato dal ristorante in cui suonava per la prima volta per non essersi attenuto alle direttive a lui date e Mia prova ad avvicinarlo senza successo.

Non c’è due senza tre et voilà Seb e Mia si rivedono a una festa in piscina. Mia è al solito alle prese con il lancio della sua carriera mai decollata mentre Seb suona in un’improbabile boy band. Tra scaramucce, battutine e ironie, per volontà del caso finiscono per condividere una passeggiata, che al chiaro di un lampione fa sì che le frecce di Cupido arrivino finalmente a destinazione.

In breve tempo, Mia lascia il fidanzato e si trasferisce in casa di Seb, dove insieme provano ognuno a realizzare il proprio sogno. Quello di Seb è di potersi dedicare alla tradizione del jazz per evitare che venga dimenticato dalle nuove generazioni. Quello di Mia è invece di realizzarsi finalmente come attrice e forse anche come scrittrice. Si appoggiano a vicenda, si sostengono, sognano e si amano, giurando di farlo per sempre. Ciò fa sì che lentamente prendano vie diverse e, soprattutto, parallele, incapaci di comunicare e trovare una via di mezzo.

Ryan Gosling, Emma Stone

La La Land (2016): Ryan Gosling, Emma Stone

Sin dal suo esordio, Chazelle ha fatto della musica (del jazz in particolar modo) una parte fondamentale dei suoi film, anche per via della sua esperienza da musicista. Non stupisce dunque che La La Land sia infarcito di musica e che la usi tra una scena e l’altra come motore dell’azione. Quasi tutto ciò che è importante viene comunicato attraverso le note di una canzone cantata dai protagonisti o di un sottofondo musicale, trasformando in centrale quel ruolo di accompagnamento che le sette note spesso hanno. Molto superficialmente si potrebbe dire che La La Land è un omaggio ai musical dei tempi d’oro, quelli che la RKO produceva in quantità seriale basandosi sul canovaccio del già visto e lasciando ai numeri musicali il compito di rappresentare la novità. La La Land è invece ben altro: è scomposizione dei temi del musical in generale, è rilettura dei codici (aggiornati ai nostri tempi ma non in ottica postmoderna: chi cerca il pastiche alla Luhrmann stia alla larga) ed è riscrittura degli elementi essenziali.

Suddiviso in cinque capitoli che seguono le quattro stagioni dello stesso anno (Inverno, Primavera, Estate e Autunno) e l’inverno di sette anni dopo, La La Land costruisce lentamente la parabola dell’amore dei protagonisti, facendolo esplodere in primavera e finire in autunno. La scelta delle stagioni può apparire banale ma, come Barthes insegna, nulla è più banale dell’amore stesso: sboccia in primavera e sfiorisce in autunno, stagione che in inglese si chiama “fall”, esattamente come “caduta”. Nel tratteggiare le grandi linee della storia amorosa, Chazelle inserisce lentamente il tema del sogno americano, che per la sua realizzazione comporta sempre un grosso sacrificio. Se all’inizio del lungometraggio i protagonisti sono entrambi dei falliti con delle carriere che stentano a prendere forma, alla fine sono affermati: ma a che prezzo? A che prezzo, Hollywood?

Senza spoilerare il finale, Chazelle sovverte ciò che vorrebbe il genere e non regala quello che lo spettatore sembra avere già dato per scontato. Anzi, lo prende anche in giro mostrandogli brevemente quello che avrebbe potuto essere e che non è stato, che è rimasto solo un’utopia agli occhi di chi malinconicamente ha provato a coniugare tutto. La città delle stelle, così cara a Seb e Mia, è avara: se ti regala qualcosa, deve necessariamente toglierti tutto. L’equilibrio, il bilancio e la serenità non sono ammessi: sono appannaggio solo di chi smette di credere nel proprio sogno e si adegua alla vita che gli viene imposta. Come in una roulette, o è rosso o è nero.

Pensato furbescamente per il mainstream, La La Land è un’opera strettamente autoriale. I primi piani che si muovono sulla tastiera di un pianoforte o le carrellate musicali non strizzano di certo l’occhio allo spettatore. Semmai lo chiamano in causa e lo invitano a riflettere o a giocare. Il gioco, nella sua dimensione ludica fatta di vittorie o di sconfitte, accompagna i protagonisti: del resto, play, giocare, in inglese vuol dire anche suonare o recitare. Nell’omaggiare i musical che furono, tornano luoghi già visti altrove, scenografie, costumi e accenni. Difficile non pensare a Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi, Les parapluies de Cherbourg (occhio a come si chiama uno dei locali vicino alla caffetteria dove lavora Mia), Grease o a tutta la schiera di musical interpretati da Fred Astaire (chissà che avrebbe detto del tip tap di Gosling) e Ginger Rogers.

Il tratto autoriale torna prepotente anche nella scelta di venare di malinconia la storia d’amore e di rifiutare la ruffianeria di chi avrebbe voluto un domani diverso per i protagonisti. Ed autoriale è anche la volontà di Chazelle di essere artigianale in molte sequenze, dove si rimettono in scena un volo aereo, uno sfondo alla finestra o una città estera, così come si sarebbe fatto ottant’anni fa: con l’uso della cartapesta. E l’artigianalità porta anche a voler giocare con il cinema, a rileggerlo, a ricrearlo, come sottolinea l’accostamento tra una sequenza di Gioventù bruciata e il suo “remake” e a criticarlo.

Superlativa la performance di Emma Stone, con un personaggio non forse semplice ai cui occhi limpidi come una fonte d’acqua è affidata una certa dose di crudeltà affettiva ed egocentrismo. Sopra la media, e per chi scrive è una novità, Ryan Gosling, credibile per una volta anche con il suo viso monoespressivo. Delizioso il piccolo apporto di J.K. Simmons.

Destinato a diventare un cult, La La Land prenota già da adesso il suo posto nella storia del musical e in quella degli Oscar.

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