Regia di Tate Taylor vedi scheda film
Visto comunque che si tratta di un giallo, il regista non si doveva fermare semplicemente a un’indagine psicologica di superficie dentro i meandri della mente alterata di un’alcolista con procedimento narrativo troppo contorto che rende farraginosa la vicenda.
Già il romanzo di partenza è poca cosa (si fatica davvero a comprendere come un thriller mediocre come questo possa essere diventato un best seller ed è davvero un segnale più che preoccupante perché certifica come anche la letteratura anche di genere attraversi una crisi forse irreversibile). Purtroppo però il film è ancora peggio (e anche qui si fatica abbastanza a capire le ragioni che lo hanno fatto apprezzare così tanto – almeno a giudicare dagli incassi non proprio miserevoli conseguiti qui in Italia e i paralleli fatti con altre recenti opere di ben più alta levatura e coinvolgimento) perché se l’unico vero punto di forza del libro era la coralità delle voci (il punto di vista paritario delle tre donne che animano la vicenda, mantenute tutte sullo stesso piano) nel film si perde anche questa interessante pluralità di visione e di pensiero concentrandosi soprattutto sulla figura di Rachel e relegando le altre due donne a comprimarie (sia pure di lusso).
La ragazza del treno (2016): locandina
Si supplisce (a mio avviso malamente) con un affannato andirivieni temporale e un altrettanto tedioso utilizzo della voce fuoricampo per tentare di collegare fra loro i vari piani con un procedimento più che farraginoso motivato (ma lo apprenderemo poi incorso d’opera) dal continuo parlottare “etilico” e reticente della protagonista (la ragazza del treno, appunto) giustificato dai vuoti di memoria che la affliggono a causa di un alcolismo cronico dal quale la donna tenta disperatamente di uscire fuori.
Difficile davvero se non si possiede il talento di un Lynch o di qualche altro regista che per comodità definirei come appartenente alla corrente della visionarietà geniale, far procedere senza intoppi le incasinate vicende del racconto mantenendo al contempo il giusto sguardo introspettivo (particolarmente importante in una situazione ingarbugliata come questa più per come si è voluto mischiare le carte che per effettiva mancanza di linearità dei fatti che peraltro avrebbe reso tutto molto più chiario – ma anche più banale - se questi fossero stati presentati cronologicamente).
Purtroppo Tate Taylor questa speciale qualità non la possiede (ed è soprattutto qui che casca l’asino): lui sa solo scimmiottare (ma lo fa anche male) riuscendo persino a creare una frizione fra il prolisso e un po’ confuso inizio e la più lineare (anche stilisticamente parlando) seconda parte che ci porterà alla soluzione dell’intrigo via via che i fumi dell’alcol si diraderanno e Rachel tornerà lentamente a prendere coscienza dell’accaduto rendendone così edotto anche lo spettatore.
La storia è dunque soprattutto quella di Rachel che con il treno passa due volte al giorno davanti alla casa di una coppia che lei immagina perfetta. Casa che si trova (ma guarda che caso fortunato!) accanto a quella di un’altra coppia, in cui l’uomo è stato anche l’ex marito della donna. Osservando quasi maniacalmente dal finestrino quell’abitazione (e nonostante la precarietà della sua mente) scoprirà qualcosa di importante che la indurrà a cercare di rimettere a posto i pezzi sconnessi del puzzle della sua vita.
La ragazza del treno (2016): Emily Blunt
Naturalmente (visto che di un giallo si tratta anche se zeppo di sfumature sexy e non ci si può dunque fermare semplicemente a un’indagine psicologica di superficie dentro i meandri della mente alterata di un’alcolista) ci casca pure il morto (e non poteva essere altrimenti). Per poterla tirare per le lunghe (perché la soluzione altrimenti sarebbe stata abbastanza abbordabile in tempi molto più brevi (almeno io ho avuto quest’impressione che poi è quella di aver constato che alla fine la montagna aveva partorito un topolino) si è ricorsi a quel procedimento strampalato a cui ho accennato prima riempiendo la pellicola (artificiosamente) di continui sbalzi in avanti e all’indietro e cambi di punti di vista peraltro non suffragati da particolari esigenze narrative che finiscono solo per assumere il senso di un mero vezzo un po’ gigionesco (guardate come sono stato bravo a confondere le carte sembra voler dire il regista e come ho saputo trasporre bene sullo schermo un romanzo difficile da rappresentare come quello della Hawkins mantenendone tutte le ambiguità di fondo sia pure ricorrendo a espedienti differenti rispetto a quelli della scrittura) che è riuscito però a mio avviso a creare soltanto una fastidiosa insofferenza nello spettatore (mi riferisco evidentemente alle mie reazioni e magari sono anche in minoranza, ma questo è quello che ho provato, aggravato poi da un sottile senso di noia che per me è un vero peccato capitale per un film come questo che vorrebbe peraltro rinverdire ad aggiornare ai nostri tempi, i fasti del giallo classico).
La ragazza del treno (2016): Haley Bennett
Il cast femminile comunque è abbastanza interessante nella resa anche se Emily Blunt - la vera protagonista della storia - è più sfocata (quasi smarrita si direbbe) rispetto alle ottime prove che ha fornito in precedenza e non riesce a esprimere in pieno tutte le sfaccettature che il suo personaggio richiederebbe. Il versante maschile invece se la cava meno egregiamente ma qui la colpa è anche della sceneggiatura perché manca un adeguato approfondimento dei caratteri e le loro diventano di conseguenze semplici figure “funzionali” anche se nella storia non sono certo meno importanti di quello assegnato alle tre donne, il che finisce per sbilanciare troppo gli equilibri finali del racconto.
La ragazza del treno (2016): locandina
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A me il film è piaciuto un po' (poco poco) di più, ma sono soprattutto contento di poter di nuovo leggere una tua recensione. In effetti, ho trovato lo stile narrativo del film assai contorto e, dopo i primi promettenti minuti, ho cominciato a storcere il naso.
Grazie davvero per le parole con cui festeggi il mio essere finalmente tornato in carreggiata. Concordo poi con tutto quello che scrivi a proposito d del film: quei problemi da evidenziati, così bene, sono gli stessi che hanno reso ostica anche la mia visione
Mi piace il tuo pacato modo di scrivere anche quando un film non ti ha convinto: rispettoso dei gusti altrui e del film stesso.
Si chiama onestà intellettuale ed è bello vedere che qualcuno ancora ne fa uso...
Ah, il film lo andrò a vedere in un cinema all'aperto di Bologna verso metà luglio...
Ciao
Fabio
Io credo infatti che si possono esprimere anche opinioni contrarie nel pieno rispetto del pensiero altrui e cerco di essere sempre fedele a questo dogma. Spero che a te faccia un effetto migliore, susciti pensieri più positivi dei mieie perchè in ogni caso anche se a me è piaciuto poco, è tutt'altro che una pellicola dozzinale (semmai a me sembra che il regista abbia peccato un po' di presunzione
Dovresti avermi fatto risparmiato due ore di visione e sei ore di lettura che nessuno mi avrebbe mai più restituito. Grazie, Valerio. Non ho letto la tua recensione per evitare spoiler e mi riservo di leggerla il giorno in cui m'imbatterò in uno dei due (cosa che non ritengo indispensabile per la mia esistenza). Comunque, a naso, mi sembra una frettolosa operazione di marketing, come avvenne per IL CODICE DA VINCI. E poi, sia l'autrice che Tate Taylor mi danno l'aria d'essere "ispirati" manipolatori.
Ciao Guido, e razie per il passaggio. Il film (e il romanzo) a me hanno fatto questo effetto e non potevo che fermarlo sulla carta... ma ci sono anche estimatori che invece hanno gradito e io non pretendo mai di aver ragione in assoluto. le mie sono soltanto indicazion strettamente personali di gradimento o rifiuto comunque sempre a confrontarmi con chi la pensa im modo diverso Un caro saluto e a presto
Il libro lo lessi ai tempi e mi colpì molto, il film molto meno e fa perdere tutta la magia del plot twist. Rivalutandolo forse non è che sia sta gran storia alla fine...
Io continuo ad avere qualche perplessità pure sul libro... ma sono d'accordo con te: leggerlo è molto più soddisfacente della visione del film (che è anche un po' più pasticciata)
Per ragioni lunghe da spiegare, sono stato costretto a vedere il film. Non ho letto il libro, quindi deduco che le tre voci che narrano l'intreccio letterario sono state un po' sacrificate per due ragioni: 1) il divismo di Emily Blunt, cosa che nel cinema mainstream può anche starci e lei non se la cava in maniera così disastrosa come alcuni affermano; 2) per rendere meno scontato il meccanismo da "whodonit" alla Agatha Christie che dovrebbe rendere incalzante e raccomandabile la pellicola. Perciò, come tu affermi, i salti temporali sono stati amplificati allo scopo di rendere meno prevedibile l'epilogo: talvolta tali flashback vorrebbero suonare stranianti, spesso appaiono goffi. Pur non avendolo letto, credo che il romanzo della Hawkins ha trovato tutto questo riscontro perchè ha cavalcato abilmente e tempestivamente la tematica del #meToo e le nuove teorie psicologiche sui manipolatori narcisisti. A livello mediatico, un'altra cassa di risonanza per il romanzo è consistita nelle recensioni entusiaste del "vate" Stephen King, che ha elogiato il tutto come se fosse un tributo al suo universo letterario: in effetti alcuni personaggi e situazioni hanno un retrogusto debitore di alcuni suoi thriller. Comunque, a partire dalle ambientazioni, niente che non sia stato già affrontato, in maniera migliore, nella saga svedese "Millennium". Ma Paula Hawkins non è Stieg Larsson e Tate Taylor non è David Fincher.
Mi fa piacere caro Guido che tu sia più o meno sulla mia stessa linea di pensiero almeno per quel che riguarda il film. Poco male (credo) che tu non abbia letto il libro che è solo un poco più avvincente ma è tutt'altro che quel capolavoro che qualcuno sostiene. Sì è vero: si è voluto cavalcare un poco l'onda rendendo però il tutto troppo farraginoso (e un po' stancante devo dire) con quei tre piani narrativi ciascuno con un pezzo di verità. La resa interpretativa (parlo soprattutto del versante femminile) è abbastanza buona ma la Blunt a me è sembrata un tantino più sfocata rispetto alle altre due nonostante il suo ruolo di protagonista assoluta e soprattutto meno convincente della prova fornita in altre precedenti pellicole. Poco sapevo invece della sfegatata sponsorizzazione (un tantino partigiana) fornita da Stephen King all'autrice del romanzo che ha sicuramente contribuito a decretarne il suo successo e ti ringrazio per questo tuo importante contributo che amplia la mia conoscenza e integra il contenuto della mia recensione.... Sì... solo ordinaria amministrazione:_ come dici giustamente tu, Paula Hawkins non è Stieg Larsson e Tate Taylor non è David Fincher.
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