Regia di Tate Taylor vedi scheda film
Allo spettatore più attento di certo il particolare non sarà sfuggito. Accade infatti che nelle sequenze conclusive de “La ragazza del treno”, collocate nell’ordine all’interno di in un cimitero e nel vagone di un treno, si assista per la prima volta ad un cambio di punto di vista, con la protagonista inserita all’interno di un contesto ambientale chiaro e definito nella sue peculiarità topografiche. Lo skyline metropolitano chiamato a fare da sfondo al congedo dal fantasma femminile che in precedenza avevano accompagnato la tormentata esistenza di Rachel (Emily Blunt) così come la panoramica sul convoglio in piena corsa che la sta riportando a casa stabiliscono una discontinuità visiva rispetto alla parzialità della rappresentazione ambientale che fin li aveva caratterizzato le inquadrature. Lungi dall’essere la segnalazione di un dettaglio meramente estetico, la perdita di soggettività delle immagini in favore di una raffigurazione tangibile e reale trova corrispondenza nei fatti della storia e, in particolare, nel ristabilito quadro psicologico di Rachel che in seguito alla scoperta della verità sulla misteriosa sparizione di Megan (Haley Bennett), la bella e tormentata sconosciuta osservata dal finestrino, viene restituita alla normale percezione delle cose, non più alterata dalle allucinazioni degli abusi etilici. Efficace ma anche schematico l’espediente di regia adottato da Tate Taylor riassume come meglio non si potrebbe il lavoro di Tate Taylor a cui spettava il non facile compito di portare sullo schermo il best sellers della giornalista Paula Hawkins, esordiente consacrata al successo dalle vendite milionarie del suo primo romanzo.
Le difficoltà della trasposizione consisteva nel restituire con pari dignità le due anime del romanzo; e quindi da una parte di mettere a punto il thrilling che ruota intorno all’incertezza sul ruolo - di vittima o carnefice - da assegnare alla protagonista e al dubbio che l’assassinio di Megan possa essere proprio lei; dall’altra di ritrovare le suggestioni da domestic noir che mettendo al centro della scena l’infelicità di tre differenti tipi di donne si proponeva di allargare il campo d’interesse del film, intercettando le insoddisfazioni e il malessere della condizione femminile non solo nell’inquietudine di Rachel e Megan che del film sono di fatto le protagoniste, ma anche in un personaggio secondario e tutto sommato marginale alla vicenda come Anna, destinata a risvegliarsi dal proprio torpore di casalinga modello nel più drammatico dei modi. Per riuscire a farlo Taylor persegue una strada che tiene la storia lontana da intenti di verosimiglianza con la quale poco centra la facilità con cui Rachel dalla carrozza del treno riesce a cogliere e poi a ricostruire particolari della vita intima di Megan; e sempre sulla scia di un interpretazione immaginifica del reale la scelta di attrici che seppur penalizzate dall’ordinarietà di trucco e acconciature (Emily Blunt) non riescono a venir meno al glamour della propria fotogenia. Così come risulta contraddittorio in un resoconto che scaturisce dalla sguardo della protagonista la presenza di inserti riguardanti la vita di Megan e Anna che Rachel non può conoscere e quindi non potrebbe “raccontare” - come invece fa- allo spettatore. Per contro “La ragazza del treno” spinge l’acceleratore sulla creazione di un clima ossessivo e allucinatorio ( più che dalla composizione delle immagini reso attraverso il lavoro di montaggio che altera la cronologia degli eventi, mescolando diversi livelli di coscienza) e sul senso di ostilità con cui il mondo esterno percepisce la presenza di Rachel, arrivando a “tradire” il proprio bon ton con scene e linguaggio (condensati nel personaggio di Megan) piuttosto esplicito per una produzione mainstream. In questo senso è apprezzabile da parte di Taylor l’aver resistito alla tentazione di rifarsi al concetto di solidarietà femminile che, in un contesto di disgrazia generale come quello in cui si ritrovano le protagoniste, sarebbe stato naturale e anche vantaggioso (in termini di empatia) perseguire e da cui invece “La ragazza del treno” si mantiene distante (anche nella chiusa finale) ribadendo di fatto l’egoismo di fondo che aveva scandito i rapporti tra le parti in causa.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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