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Lo and Behold - Internet: Il futuro è oggi

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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La recensione su Lo and Behold - Internet: Il futuro è oggi

di barabbovich
3 stelle

Werner Stipetic, meglio conosciuto come Werner Herzog, non possiede neppure un telefono cellulare. O, almeno, così leggo sulla stampa specializzata. Non contento di avere girato documentari inguardabili come L'ignoto spazio profondo, eccolo alle prese con altra materia a lui ignota: internet. Il nostro se ne va in giro a parlare con i guru dell'informatica, i professoroni di Stanford o l'hacker più famoso del mondo - tutti impegnati nella gara a chi la spara più grossa - per capire l'aria che tira. Articolando l'insieme in dieci capitoli - da "le origini" a "il futuro" - il nostro pone domande tipo "internet potrà sognare se stesso?" o "i computer potranno provare sentimenti?" che suscitano domande sulla dose di peyote assunta dal regista tedesco ma non rivelano nulla né sui possibili scenari di futuri (la fantascienza profetizzò astronavi intergalattiche e umanoidi che si sarebbero impossessati del pianeta, ma nessuno - Asimov, Wells, Dick, Clarke - intuì come internet avrebbe cambiato le nostre vite), né sui parossismi prodotti dalla rete. L'esistenza di forme patologiche di dipendenza dai videogiochi, per esempio, con adolescenti che per non perdere punti stanno seduti davanti al monitor si attrezzano con il pannolone per espletare eventuali bisogni fisiologici, o che gli smartphone abbiano fatto irruzione anche tra i monaci tibetani non è una sorpresa per nessuno. La vera sorpresa, invece, è che un regista con quasi cinquant'anni di attività alle spalle non riesca, con un tema tanto flessibile e attuale, non dico ad approssimarsi allo stile di Robert Flaherty o di Patricio Guzmán, o alla vivacità di Michael Moore, ma almeno ad andare oltre lo standard di Superquark. Lunghe inquadrature fisse, montaggio a suon di rasoiate, interviste interminabili, pletorica voce over dell'autore sono gli addendi stilistici che offrono come risultato un film verbosissimo, eccessivamente lungo (un'ora e cinquanta), piatto e soprattutto incapace di offrire un quadro futurologico che vada oltre il bigino di informatica.

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