Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Tra i registi del nuovo cinema tedesco che negli anni settanta rivesti di modernità il cinematografia del proprio paese e che ebbe tra i suoi esponenti autori del calibro di Wim Wenders, Margarete Von Trotta e Volker Schlonderff quello di Werner Herzog è l’unico nome che ancora oggi riesce a ridestare lo spirito avanguardista e la voglia di sperimentare che appartenne ai cineasti di quel periodo. Per nulla imborghesito e ancora molto ispirato Herzog ha trovato nel documentario lo strumento per continuare a esplorare la realtà. Trattandosi dell’autore di “Grizzly Man” e “Encounters at the End of the World” si capisce subito che la precisione enciclopedica e il tono divulgativo utilizzato dal professore di informatica incaricato di guidarci nei luoghi (della UCLA di Los Angeles) in cui è nata la rete così come l’elencazione dei progressi raggiunti con l’entrata in scena di internet di cui abbiamo modo di conoscere e di vedere (nel corso della visione)sono solo il modo scelto dal regista per far sentire a casa lo spettatore prima di toglierli ogni certezza e sprofondarlo nell’altrove costituito dalle implicazioni reali e possibili che sono conseguenza della grande rivoluzione informatica.
Un mondo invisibile o quantomeno sommerso che Herzog fa emergere con le caratteristiche tipiche del suo cinema e quindi facendo entrare in collisione la razionalità del meccanismo cinematografico, rappresentato dal succedersi ordinato delle singole scene e dal controllo della spazio scenico (occupato dai personaggi intervistati dal regista) con gli abissi scatenati dagli scenari di un futuro più che possibile, in cui a governare sarà l’intelligenza artificiale dei robot. Se ciò che deve ancora venire meraviglia e al tempo stesso spaventa il presente è quanto meno angosciante: provate a chiedere ai genitori della ragazza morta in un incidente stradale perseguitati dagli hacker che hanno saturato la rete con le foto del cadavere della figlia, oppure alle persone costrette a lasciare la propria casa e a vivere in luoghi remoti e isolati per scongiurare gli effetti della patologia scatenata dalle onde magnetiche prodotte dai circuiti telematici. Tra cose note e perlomeno pensate e altre nemmeno immaginate “Lo and Behold” è un viaggio nell’ignoto dei nostri tempi che riesce a farci tornare a casa con verità meno scontate. E il suo regista pur alla soglia degli ottanta dimostra la metà dei suoi anni. Per questo motivo lunga vita a Werner Herzog.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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