Regia di François Ozon vedi scheda film
Ozon è uno dei pochi cineasti cinquantenni che può tranquillamente fregiarsi dell’epiteto di Maestro. Ci sono in giro tanti registi di talento, ma la classe, il rigore, l’ingegno, l’abilità (la maestria, per l’appunto) con cui Ozon scrive e dirige le sue opere hanno pochi eguali fra coloro che hanno esordito negli ultimi 25 anni. Una carriera per giunta prolifica, con pochissimi passi falsi. “Frantz” ribadisce temi e modi del suo cinema, in un contesto storico, con una calma ed un nitore esemplari. Non avrà forse l’inventiva travolgente di “Nella Casa” né la suspense infinita di “Swimming Pool”, ma è un sapiente ed infallibile compendio di teoria e pratica ozoniane.
Anche questa volta è una storia di fantasmi, doppie vite, menzone, false piste, specchi, sostituzioni di persone. Un altro magistrale thriller dell’anima, dallo storytelling ingannevole che ci constringe a dubitare della veridicità delle immagini o, meglio, che ridefinisce la dialettica reale/immaginario potenzialmente ad ogni sequenza, ad ogni snodo del plot, come nel miglior Hitchcock, ancora una volta nume tutelare di Ozon, con “Vertigo” apertamente citato nel finale al museo. Un cinema che mette in discussione le stesse leggi del desiderio, ribaltando aspettative e ruoli nel balletto sentimentale, al punto da cogliere in contropiede anche il pubblico più smaliziato.
A questo giro, tocca anche alla fotografia adottare questi repentini cambi di prospettiva, passando dal luttuoso bianconero allo speranzoso colore. “Frantz” è tutto questo, ma non è un gioco fine a se stesso. Non lo è mai, per la verità, nei film di Ozon, ma qui c’è un fattore in più: la guerra. L’antimilitarismo e la critica ai vari nazionalismi non costituiscono per Ozon una semplice patente di cineasta “impegnato”, ma fanno un tutt’uno organico nella sostanza del film, assieme alle faccende familiari, affettive, sentimentali: valga per tutte la sequenza antifrastica, quasi disturbante, in cui ad una donna tedesca, vedova di guerra in cerca dell’assassino del marito di cui si è invaghita (in un tipico paradosso ozoniano), tocca subire la Marsigliese in un bistrot parigino.
Nel cinema stratificato eppure sempre coinvolgente, destrutturato ma dal passo classico di Ozon, la critica ai luoghi comuni, alle varie retoriche (private e politiche, formali e tematiche), la frustrazione delle aspettative del pubblico, la continua ridefinizione delle forme passa inevitabilmente per accostamenti e per cambi di sguardo che forzano lo spettatore verso una riflessione su ciò che sta vedendo, su ciò che sta provando, su ciò che sta pensando.
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