Regia di François Ozon vedi scheda film
Due brevi premesse:
– eviterò, per quanto possibile, qualsiasi anticipazione sugli sviluppi della vicenda, perché l’effetto sorpresa, al termine dei molti depistaggi intenzionalmente disseminati nel corso del film, è fondamentale per comprenderlo e apprezzarlo;
– credo che per capire bene le ragioni dei depistaggi di Ozon sarebbe utile ripensare al complesso gioco dei rapporti fra realtà e finzione che lo stesso regista mette in scena e teorizza nel corso di quel film, cosparso di trappole per lo spettatore, che porta il titolo italiano Nella casa (2012)*, in cui un professore insegna a uno studente molto dotato, la scrittura creativa.
Siamo in una località tedesca nel 1919, all’indomani della bruciante sconfitta della Germania dopo la Prima guerra mondiale. La pesantezza dell’umiliazione subita si unisce al dolore per la perdita dei figli: il lutto è in tutte le famiglie del villaggio; la birreria, per molti anziani, costituisce il luogo dell’aggregazione possibile dove, magari, coltivare accesi propositi revanscisti.
Una giovane donna, Anna (Paula Beer), ha perso il proprio fidanzato, Frantz, caduto, come si apprende nel corso del film, in una trincea nei pressi della Marna. Ora Anna vive con i genitori di lui, gli Hoffmeister, ovvero il medico Hans (Ernst) e la moglie Magda (Marie Gruber) che l’hanno accolta come una figlia: anche lei, come loro, è legata profondamente al ricordo di quel giovane speciale che la guerra si era portato via. Frantz infatti era un giovane pacifista per educazione familiare, colto e cosmopolita, violinista di valore; per rispetto della sua memoria Anna rinnovava ogni giorno i fiori freschi al cimitero. Qualcun altro, da qualche tempo, quotidianamente stava portando fiori su quella tomba: era il parigino Adrien Rivoire (Pierre Niney), che aveva già tentato, invano in quanto francese, di farsi ricevere da Hans per parlargli del figlio. Anna, ritenendo che probabilmente Adrien avesse conosciuto Frantz durante il suo lungo soggiorno parigino prima della guerra, aveva convinto Hans ad accoglierlo e ad ascoltarlo. Ne era nata, a poco a poco, un’amicizia profonda: Frantz veniva costantemente fatto rivivere attraverso il ricordo doloroso di Adrien che evocava l’antica conoscenza parigina, le visite al Louvre, le soste davanti alla pittura di Manet, la sua passione per il violino… Tutti nella famiglia Hoffmeister, la stessa Anna, erano incantati alle sue parole, commossi per il pudico imbarazzo che le accompagnava e sembravano aver ritrovato un po’ di serenità.
Il soggiorno nel piccolo paese, per Adrien, non era facile, tuttavia: l’odio anti-francese era troppo diffuso e stava diventando aggressivo, ciò che lo avrebbe indotto a tornare in Francia, dopo aver lasciato una lettera di spiegazioni, finita tra le mani di Anna. Da questo momento si avviano gli importanti sviluppi del film, sui quali, come ho già detto, non rivelerò alcunché. Vorrei precisare, però, che tutto quello che lo spettatore immagina, per quanto smaliziato e conoscitore di Ozon, non corrisponde al gioco intrecciato degli eventi e dei personaggi, poiché come ho già detto, il regista ci porta volentieri su false piste, mantenendo viva la nostra attenzione fino all’ultima scena. Chi sia davvero Adrien, che cosa faccia nella vita, come abbia conosciuto Frantz, quale sia il suo futuro in Francia, lo scopriremo un po’ alla volta, con Anna, l’unico personaggio che alla fine del film avrà completa coscienza di tutto ciò che era accaduto e che di conseguenza potrà decidere liberamente di sé.
Il film, un vero racconto di formazione per Anna, narra in modo equilibrato e lineare una storia a tratti assai difficile, condotta con tecnica narrativa attentissima, così da mantenere vivo e teso l’interesse in sala per circa due ore, lasciando qualche spazio alle morbidezze del mélo. Il regista utilizza un raffinato e bellissimo bianco e nero, ravvivato a tratti da un tenue colore di forte impatto emotivo. La ricostruzione storica e sociale è molto scrupolosa, ma non neutra, perché avviene dal punto di vista tedesco di Anna, che, non diversamente dagli Hoffmeister, continua a coltivare quegli ideali di pace e di dialogo che le avevano reso caro Frantz. Questo le avrebbe permesso di percepire la pericolosità dei fermenti nazionalistici presenti nella Germania sconfitta e umiliata dopo Versailles, e di scegliere per il proprio futuro. Nella grandissima recitazione di tutti gli attori, si segnalano quelle superbe di lei, Paula Beer (che per questo ha ricevuto il premio Mastroianni a Venezia dove il film è stato presentato in concorso), e di Adrien, credibilissimo nel suo tormento e nella sua pietà. Da vedere sicuramente.
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*Le indicazioni di Germain al suo studente si spostano dal piano formale (come si potrebbe raccontare meglio ciò che si è osservato) a quello più sostanziale (come si potrebbe costruire meglio il racconto, spostando situazioni e personaggi, non tanto secondo verità o verosimiglianza, ma secondo l’invenzione e l’immaginazione dello scrittore). Nella pellicola di Ozon, che tali indicazioni mette in scena per noi, pertanto, compaiono, diventando film esse stesse, le diverse infinite possibilità che dall’osservazione della realtà si aprono non solo alla scrittura, ma anche al fare cinema: in una parola alla creazione artistica.
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