Regia di François Ozon vedi scheda film
Frantz è il nome del soldato tedesco morto durante il primo conflitto mondiale per mano di un nemico francese, un "franzosisch”. Ozon mette in scena quella che può essere una delle linee guida del cinema degli anni a venire, a quando una tematica s’impone prioritariamente e gli autori più sensibili iniziano a lavorare sulla molteplicità di aspetti che la compongono. Basta ricordare in anni recenti, le tendenze periodiche che hanno riproposto argomenti caldi che hanno accompagnato tensioni sociali o le analisi della crisi dell’individuo in momenti particolari, dalla messa in mora della famiglia all’eutanasia, dall’evaporazione delle figure genitoriali alla rappresentazione critica di ogni conflitto armato, dalla liberazione dei tabù all’ecumenismo dell’immagine, sono alcuni dei tanti esempi. Ozon, forte di una cinematografia alquanto variegata, non si lascia tentare dalla sociologia d’accatto facendosi travolgere dalla confusione del presente, ma individua quell’elemento di disturbo che caratterizza il mondo odierno in preda a trasformazioni radicali, evidenzia lo scollamento del singolo dal suo corpo sociale in preda ad un senso di insicurezza e di minaccia portato da un diverso che diventa il nemico, il suo sguardo si rivolge dunque al passato e ai suoi insegnamenti. La storia, quella dolorosamente maiuscola, ha qualcosa da mostrarci, i conflitti sono materia universale che le traiettorie ideologiche utilizzano per nascondere le proprie colpe, le responsabilità vere. Sulla tomba di Frantz appare Adrien, ex combattente francese che agli occhi di Anne, quella che è stata la fidanzata del defunto e che vive in uno stato di perenne vedovanza, si presenta come un amico conosciuto in tempo di pace a Parigi dove lo stesso Frantz si era recato . La presenza di uno straniero che fino al giorno prima era percepito come il nemico stimolerà reazioni insofferenti, e scomode verità emergeranno lungo il racconto. Il cinema di Ozon come sempre si schiera dalla parte dell’essere umano colpito dalle circostanze esterne, tende sempre ad esaltarne le componenti sentimentali, emotive. La figura mite e apparentemente sincera di Adrien innesca con tutti gli elementi del racconto sia che si tratti di persone che di rappresentanti simbolici, un labirinto di specchiamenti in cui ogni soggetto portatore di una verità personale come quello di un dolore interiore da elaborare, si ritrova al cospetto dell’altro, l’odiato nemico, come la parte nascosta di sé, e non sempre ne affiorerà comunque la migliore. I genitori di Frantz rivivono la presenza del figlio morto con i racconti parigini di Adrien, della musica che suona, della positiva influenza che trasmette ad Anne. Il film secondo me andrebbe solamente distribuito in versione originale, poiché lo scambio linguistico tra i protagonisti , Anne e Adrien conoscono la lingua dell’altro, è fondamentale per comprendere quanto sia forte la possibilità dello scambio come quello della comprensione. La parola, tanto vituperata e inutile nella rabbia incontrollata come nel furore della guerra, diventa prima muta poesia dello sguardo, poi accecante verità quando viene usata e ascoltata nei giusti termini, in un delicato passaggio il padre di Frantz rabbonirà gli anziani del suo circolo, composto da persone colpite dal lutto, quando definirà l’orrore di quella guerra con il quale padri da entrambi i lati della barricata brindavano alla morte dei figli altrui senza capire che ciò equivaleva alla fine dei loro stessi figli. Dalla perdita dell’innocenza alla perdita della vita, dell’umanità, del proprio tempo. Le arti entreranno in gioco come salvezza dell’anima, come elemento purificatore dello spirito che uniscono le persone anziché separarle. Finchè il dramma globale si misura con la complessità dei sentimenti e la loro ambiguità espresse dai singoli personaggi , il film risulta davvero trascinante verso una narrazione senza soste di cui non si aspetta che la scena seguente. Ma la personalità del regista alquanto sfaccettata si manifesta con un cambio di registro (questa volta dentro lo stesso film) e la seconda parte di Frantz sarà dedicata allo scenario parigino del dopoguerra visitato da Anne. Senza forti spiazzamenti, la vicenda assume un tono più personalizzato, inesorabilmente la forza del dirompente contenuto si allontana e si trasforma. La benevolenza del regista verso i suoi personaggi pare indebolire quella tensione morale che tanto bene ha costruito prima, prevale dunque la scelta della pacificazione, dell’attenuazione conflittuale ad ogni livello del testo benché non mancheranno sorprese e colpi di scena. Ancora una volta l’abilità del regista demiurgo, prevale sulla schizofrenia delle reazioni umane, sulla nuda irrazionalità dei sentimenti, in favore di una convivenza che trasformi le persone da vittime del loro destino ad artefici di una nuova vita da cui cercare di ripartire.
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