Regia di François Ozon vedi scheda film
Venezia 73 – Concorso ufficiale.
Francois Ozon è tra gli autori più liberi e audaci del cinema attuale, non ha la tendenza a ripetersi, nonostante sia prolifico, spesso fa centro (di recente Nella casa è un titolo che avrebbe meritato di vincere in qualsiasi Festival), a volte gira in tondo, ma lascia sempre qualcosa da portarsi appresso.
Frantz, ispirandosi a Ernst Lubitsch, è scolpito in un bianco e nero impregnato di fascino, manifesta idee molto interessanti, ma ha anche la pericolosa tendenza a perdersi per strada o forse a direzionarsi verso ambizioni talmente alte da frenarlo.
Da poco è terminata la Prima Guerra Mondiale, Anna (Paula Beer) piange il fidanzato su una tomba vuota, vivendo con chi sarebbero dovuti divenire i suoi suoceri, quando incontra Adrien (Pierre Niney), un ragazzo francese che si professa amico del defunto.
Dopo un primo approccio scontroso, Adrien diventa un’ancora anche per la famiglia di Frantz, ma la verità è diversa dal detto; ciò non impedirà ad Anna di manifestare le sue (nuove) emozioni.
Frantz, quando una bella bugia è meglio di un’amara verità.
Ci sono tempi duri nei quali ci si lecca le ferite, una guerra devasta interi itinerari, fisici così come morali, la parola pace scritta dai potenti non può lenire l’odio tra i popoli e la verità non sarebbe difficile da capire, ma è più facile trovare riparo in un immotivato rancore di bandiera.
L’opera di Francoiz Ozon agisce su più piani e a tutti gli effetti si divide in due parti; la prima veleggia in zone altissime, è chiara, la vedi, la senti, è proprio lì di fronte ai tuoi sensi, diventa tua e quando il bianco e nero lascia il campo al colore – con passaggi di una delicatezza che trafigge – ecco sopraggiungere sfuggenti epifanie, o momenti focali, che riempiono il riquadro.
A fare da contraltare, arriva una seconda parte confusa che non dimentica di affascinare, ma avanza pericolante, con il merito di non coccolare, ma a questo punto diventa più arduo aprirsi alle emozioni che comunque continua a trasmettere (e a ogni modo rimane un evidente disequilibrio tra le parti).
Rimane comunque tanta carne sul fuoco; lo scontro tra apparenza e verità, tra ciò che è e ciò che si desidera, i dilemmi morali delle grandi guerre, tra le decisioni da prendere sul campo, quando un’incertezza è mortale, e i residui dell’odio che conoscono una sola bandiera, o inno.
Il destino rimane sempre materia incommensurabile, ma i personaggi vivono; Paula Beer è bravissima, ricorda almeno per il volto Berenice Bejo prima maniera, mentre lascia qualche dubbio in più Pierre Niney anche se è in primis il suo personaggio a doverlo fare.
Un Ozon che sceglie di essere meno limpido di altre volte (ha spesso sfumato con innata classe, ma qui va oltre), rimane da premiare la confezione – a tratti stupefacente – Paula Beer che trafigge sguardo e cuore (Premio Mastroianni a Venezia 73) e la volontà di non perseguire i percorsi più scontati.
Ostinato.
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