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Barbieri d'Italia

Regia di Francesco Ranieri Martinotti vedi scheda film

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La recensione su Barbieri d'Italia

di barabbovich
7 stelle

Giovani e anziani, settentrionali e meridionali, maschi e femmine, per professione o per atto volontario: li intercetta proprio tutti, con una scelta campionaria che ha quasi del miracoloso, questo sorprendente documentario di Francesco Ranieri Martniotti, regista dal pedigree non proprio di razza (tra gli altri, Branchie, con Gianluca Grignani, e poi un paio di film con Alessandro Siani) su uno dei mestieri più antichi e resistenti: quello del barbiere. Tra note suonate con la fisarmonica, la colonna sonora impeccabile di Puccio Pucci e i rimandi obbligati a Figaro, il più famoso barbiere dell'opera, il regista romano, classe 1959, ci porta in giro per tutta la penisola alla scoperta delle moltissime sfaccettature di un mestiere che, a sentire le voci di chi lo pratica, sembra essere quasi sempre frutto di una vocazione consolidata, in alcuni casi, da una lunga tradizione familiare. Riesce così ad appassionarci alle traiettorie più diverse che portano a fare di forbici, pettine e rasoio il proprio lavoro, ci fa addentrare nei suoi piccoli segreti e ne scoperchia il lato più squisitamente sociologico, mostrando quanto potenti possano essere oggi, anche per il sesso forte, i meccanismi identificativi. "Da quando i calciatori hanno cominciato a farsi le strisce sulla testa o altre cose del genere, è diventato sempre più difficile", commenta uno di loro. E allora ecco barbe da hipster, favoriti, mustacchi, capelli che smascherano una vanità maschile ormai alla pari con quella del gentil sesso. Se l'aspetto documentaristico coglie perfettamente nel segno, l'impianto formale non è da meno, tra barbe rasate negli spazi pubblici (le piazze, ma anche le cave dei marmi di Carrara) e l'ingresso in luoghi dove il taglio dei capelli assume un ruolo peculiare: l'accademia dell'aereonautica militare, un convento, un centro di accoglienza per i senzatetto.

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