Regia di James Gray vedi scheda film
Parlare di James Gray equivale a prendere in considerazione la parte più autoriale e - scusate il gioco di parole - autorevole del cinema statunitense, quella che, alla pari di quanto fecero i grandi registi della nuova hollywood, cerca di portare avanti le proprie istanze senza perdere di vista la tradizione americana e soprattutto europea. A proposito di Gray non è dunque un caso se fu un cineasta francece - il compianto Claude Chabrol - a tesserne le lodi, indicandolo tra i registi più interessanti della sua generazione, così come oggi non è accidentale il fatto che lo stesso Gray si rivolga all'immaginario del vecchio continentequale punto di partenza delle sue narrazioni. Così era successo nel melò storico “C’era una volta a New York”, in cui le due protagoniste lasciavano la Polonia per emigrare nella terra delle grandi opportunità, così accade in “Civiltà perduta” dove è la società inglese degli anni venti a fare da trampolino per le gesta dell’esploratore (realmente esistito) Percy Fawcett (Charlie Hunnam, appena visto in “King Arthur”) e, in particolare, per la spedizione che secondo i suoi piani lo avrebbe messo sulle tracce di un'antica civiltà localizzata all'interno della foresta amazzonica.
Al contrario delle opere precedenti però, “Civiltà perduta” rappresenta un ulteriore cambio di passo, poichè ad andare in scena non è solo la ricostruzione di un’epoca, quella in cui alla figura di Fawcett e alle sue avventure, erano riservate attenzioni degne di una leggenda vivente, ma di un intero genere, quello avventuroso, declinato secondo categorie e valori che il personaggio di Fawcett incarna alla massima potenza. In questo senso Gray è bravo a non farsi “mangiare” dal rispetto di codici e clichè, i quali, pur rispettati, vengono innervati dallo sguardo del regista, e dunque, dalla sua visione del mondo. Spazio dunque alla magnificenza della giungla amazzonica e all’emozioni scaturite dai rischi che i protagonisti affrontano durante il suo attraversamento senza però dimenticarsi delle intermittenze dell’animo umano, e perciò di quel misto di coraggio e d’incoscienza, di romanticismo e d’ossessione che alla pari dei tanti personaggi raccontati da Gray caratterizza il comportamento e le pulsioni messe in campo da Fawcett nel corso della vicenda. Ed è proprio dall’incontro tra la forma classica scelta da Gray per il suo film e la purezza “destabilizzatrice” tipica degli uomini e delle donne raccontate dal regista a fare di “Civiltà perduta” un’opera di un umanesimo fuori dal comune . Da guardare e da vivere attraverso il cuore dei suoi straordinari protagonisti.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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