Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
In un'intervista si cerca di ripercorrere l'evoluzione della malavita milanese nel corso degli anni e i crimini della banda Cavallero costituiscono una tappa obbligatoria.
Cavallero (Gian Maria Volonté), Sante (Don Backy) e Bartolini, tre uomini comuni ed incensurati residenti a Torino, mettono su una gang specializzata nelle rapine in banca per ambire ad una piccola rivoluzione proletaria, alla quale l'unico a credere fermamente è proprio Cavallero, che in pubblico si diverte ad ironizzare su chi possano mai essere i responsabili di tutte quelle rapine a volto coperto che hanno gettato nel subbuglio Milano. Tuccio (Ray Lovelock), un garzoncello di diciott'anni, scopre per caso dove i tre custodiscono le armi e viene allettato ad entrare nella banda, proposta che accetterà per fare soldi più facili.
Il colpo al Banco di Napoli fila meno liscio del solito: i quattro vengono inseguiti con determinazione dal commissario (Tomas Milian) e dalle sue pattuglie, a cui i malviventi reagiscono con un grilletto troppo facile per essere nel centro di Milano...
Questo film di Lizzani del 1968 è tratto da una storia vera: morirono tre civili e molte altre persone vennero ferite, per poi procedere infine all'arresto dei criminali in un clima degno della Chicago anni '20. Banditi a Milano comincia come un falso documentario, con una profusione di parole fulminee e titoli di giornale per illustrare la situazione su cui si staglia la vicenda, condotta da un Volonté in stato di grazia ed eccessivo come al solito, ben supportato da alcuni interpreti e dalla regia di un Lizzani che riscatta nel finale un ritmo piuttosto mal gestito nella prima parte. Con un notevole inseguimento automobilistico che deve aver contribuito ad ispirare la nascita del genere poliziottesco di lì a qualche anno, Banditi a Milano offre con onestà e precisione uno spaccato ormai quasi dimenticato di un'epoca nemmeno così lontana; è cinema di azione e impegno civile di cui, fortunatamente, Volonté fu pilastro.
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