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Banditi a Milano

Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Banditi a Milano

di axe
7 stelle

Nel 1968 la banda criminale che prese il nome dal suo leader, Pietro Cavallero, commise a Milano rapina ai danni di un istituto di credito. Il colpo riuscì, ma non la fuga. Durante il tentativo di sottrarsi all'arresto da parte delle molte forze dell'ordine immediatamente intervenute, furono uccisi diversi cittadini estranei ai fatti. Il film "Banditi A Milano", di Carlo Lizzani, racconta, seppur con differenze rispetto la realtà - tra le quali i nomi dei coinvolti - quella vicenda. La narrazione si apre mostrando una folla inferocita circondare forze dell'ordine ed altri personaggi, i quali, successivamente apprendiamo, sono i banditi. Da ciò, sfruttando l'espediente del "finto documentario", l'autore ricostruisce il clima sociale della Milano degli anni '60. La città, "locomotiva d'Italia", in coincidenza del boom economico, conobbe un incremento esponenziale del benessere, il cui diffondersi infiammò l'avidità di personaggi incapaci di accontentarsi, pronti ad ogni nefandezza, pur di far soldi, molti ed in fretta. Un anziano rapinatore racconta di come i mutati tempi abbiano influito sull'indole ed i modi dei criminali, divenuti più aggressivi ed inutilmente sanguinari. I "protagonisti negativi" del racconto, Pietro Canestraro, Sandro Giannantonio, Bartolini, ai quali si unì il giovane e spregiudicato Tuccio, sono persone di una certa cultura ed una già buona posizione sociale. In un contesto sociale estremamente dinamico e competitivo, essi scelgono di "giocare sporco"; s'irridono del sistema stesso, vantandosi tra loro delle "prodezze" commesse, e rimarcando il loro essere incensurati, quasi a voler sottolineare di aver poco a che spartire con quel crimine che nasce dalla "strada", posto in essere da persone di diverso ceto, le quali delinquono sin da giovani al fine di soddisfare necessità economiche primarie, o "d'istinto", poichè influenzati da un contesto sociale più difficile. Non conoscono pentimento; la seconda parte del film descrive nel dettaglio la sanguinosa rapina in banca, in seguito alla quale i componenti della banda furono arrestati. L'istrionico e spaccone Pietro Canestraro, interpretato da Gian Maria Volontè, dopo la sua cattura, ride di gusto. Probabilmente, oggetto del suo sollazzo è la singolare posizione delle forze dell'ordine, i cui membri, mentre lo scortano, lo tranquillizzano assicurandogli protezione dalla folla in tumulto. Il film ha un buon ritmo. Molto intenso l'insieme di sequenze che mostra le fasi della cattura della banda, consistente in un lungo inseguimento per le strade di Milano durante il quale i banditi, per proteggere la fuga, aprono il fuoco su innocenti, trovatisi al momento sbagliato nel posto sbagliato - come preannunciato da una voce fuori campo, che ne racconta l'uscita da casa per l'ultima volta - ed il successivo cercar rifugio per campagne (Pietro, Bartolini) o a casa, presso gli ignari genitori (Tuccio), i quali assistono poi attoniti all'arresto del ragazzo. Una colonna sonora quasi briosa dà un senso di assurdo all'intera vicenda; a questo proposito è interessante porsi un quesito. Qual è il pensiero dell'autore nei confronti dei gravi fatti descritti, i quali, preme ricordare, sono realmente accaduti ? A mio parere, la narrazione vivace - complice l'espressività debordante di Gian Maria Volontè - e la scelta di mostrare senza troppi filtri le conseguenze della azioni della banda, rispondono ai canoni del realismo. Carlo Lizzani racconta del mutare convulso dei costumi, generato dal progresso economico e tecnologico; del dilagare del vizio, consentito dall'incremento delle risorse disponibili per i cittadini; dell'impossibilità per le pur volenterose forze dell'ordine di fronteggiare con assoluta efficacia il crimine. Pietro e la sua banda sono figli "deviati" di questo sistema. Persone che ritengono, a torto, di essere indifferenti alle sue dinamiche; fanno del male, ne pagheranno le conseguenze. Dunque il giudizio è lasciato allo spettatore, il quale non mancherà di rilevare vantaggi e svantaggi dello stato di diritto. Esso, tramite le sue istituzioni, protegge abbietti criminali da una folla inferocita pur di garantire che giustizia sia fatta secondo le proprie leggi, a tutela, nel caso specifico, dei banditi, e, in generale, dell'intera collettività. "Banditi A Milano" è considerato tra i capostipiti del genere "poliziottesco"; ritengo, pur non ravvisando tutti i canoni del genere - il senso di frustrazione espresso dal commissario Basevi (Tomas Milian) è limitato e non conduce ad iniziative personali non del tutto in linea con i principi del succitato stato di diritto - che la valutazione sia corretta. Un buon film, di "descrizione sociale" ... e azione !

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