Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
"Banditi a Milano"di Carlo Lizzani trae spunto da un tragico fatto di cronaca. La rapina al Banco di Napoli di largo Zandonai a Milano ad opera della banda di Pietro Cavallero (Piero nel film, interpretato da Gian Maria Volontè) che si concluse con un inseguimento che provocò la morte di tre persone e gettò la città nel panico più totale. La rapina rappresentò l'atto finale delle azioni della banda, che per oltre tre anni si specializzò con successo nella "tripletta" (o "doppietta" nei giorni di "magra"), ovvero, nella rapina consecutiva di tre banche in uno stesso giorno. Insieme al capo indiscusso Pietro Cavallero, gli altri esponenti della banda erano Sante Notarnicola (Sandro nel film, interpretato da Don Backy), Donato Lopez detto Tuccio (Ray Lovelock) ed Adriano Rovoletto detto Bartolini (Ezio Sancrotti). A dargli la caccia che culminerà con l'arresto graduale di ognuno è il commissario Basevi (Tomas Milian). Il film parte con un taglio decisamente documentaristico, come se si trattasse di un inchiesta a carattere sociologico tesa ad indagare sulla recrudescenza della violenza cittadina, sulle nuove modalità d'azione del crimine organizzato e sul legame tra le bande criminali e l'estremismo politico. Poi assume le fattezze più consone ad un film poliziesco, con la presenza congiunta di tutti gli ingredienti tipici che lo connotano (rapine, sparatorie, inseguimenti, indagini di polizia) e una buona dose di spettacolarità a fare il resto. Tutto però è dosato per far si che la cifra spettacolare del film, più che diventarne l'elemento preponderante, sia funzionale a un discorso più generale e profondo sull Italia degli anni sessanta e sulla "politicizzazione" delle rapine. Carlo Lizzani calibra a dovere tutti gli ingredienti riuscendo a conferire al film uno spessore autoriale che lo pone ben oltre la semplice catalogazione ad un genere. Ritengo che un aspetto assai interessante di "Banditi a Milano" sia la netta percezione di un legame preciso tra la morfologia della metropoli meneghina (o di qualsiasi altra grande città) e le azioni criminose di questi banditi, tra la brulicante e industriosa quotidianità cittadina, fatta di facce anonime che si rincorrono senza mai guardarsi negli occhi, e la messa a punto di piani criminali che si perfezionano facendo appunto leva sulla possibile contrazione spazio-temporale della vita cittadina. Le distanze e i tempi di percorrenza possono essere calcolati con estrema precisione, si possono perfezionare le vie di fuga imparando gli incroci, i tempi dei semafori e tutti gli ostacoli possibili. L'imponderabile può essere assorbito dal fattore sorpresa che contraddistingue il come e il quando fare una rapina o da una raffica di mitra. La città diventa la geometria del crimine. Emblematica a mio avviso è la contrapposizione emotiva dei volti, tra quelli serafici di chi ha con la città un rapporto scandito dalle solite incombenze di ogni giorno, e quelli spavaldi di chi ostenta una sicurezza da padrone della situazione, che Lizzani, ad un certo punto del film, incomincia ad alternare con una certa insistenza, fino al momento in cui tutte entrano in un unico vortice della paura, chi per incontrare la morte e chi per conoscere il terrore panico della resa definitiva. Il culmine del film è rappresentato dalla superba sequenza dell'inseguimento per le vie di Milano, che chissà quanti "epigoni" non accreditati ha partorito, in Italia e nel mondo. Insomma, un buon film, con una solidità stilistica che lo fa reggere dignitosamente all'usura del tempo, con Gian Maria Volontè e Tomas Milian a duellare in bravura a distanza (con il primo che vince sempre) e una serie di piccoli e grandi caratteristi a reggere ottimamante il gioco ( gli altri componenti della banda naturalmente, ma anche Carla Gravina e Piero Mazzarella). Da rinverdire spesso.
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