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Jackie

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su Jackie

di port cros
8 stelle

Il ritratto di Jackie Kennedy che Larraín dirige tutto sui primi piani della Portman è quello di una donna duplice: allo stesso tempo vedova distrutta dal dolore e First Lady composta e dignitosa, confusa e autorevole, di una disarmante sincerità ma ossessionata dal controllo sulla sua rappresentazione pubblica e dall'edificazione del mito Camelot

 

Jackie, che Pablo Larraín gira quasi tutto in primo piano, con la macchina da presa che si allontana raramente dal viso di Natalie Portman, è tutt'altro che un biopic tradizionale. Come nel quasi contemporaneo Neruda, Larraín sceglie di focalizzarsi su un momento preciso della vita del protagonista, in questo caso i giorni dell'omicidio di Dallas e quelli immediatamente successivi, occupati dai preparativi per i solenni funerali presidenziali e per l'abbandono della Casa Bianca, alternando con le scene dell'intervista concessa una settimana dopo al magazine Life e con la ricostruzione dello speciale tv “A Tour Of The White House” andato in onda l'anno prima.

 

Larraín mette da parte tutte quelle considerazioni di politica generale e le teorie complottistiche sull'assassinio che avrebbero distratto l'attenzione dalla figura di Jacqueline Kennedy e si concentra invece esclusivamente su di lei, sulla prova terribile che deve affrontare, ma durante la quale riesce a non distrarsi dalla missione, assolutamente politica, di difendere l'eredità del marito ed edificarne il mito.

Questa duplicità emerge in maniera particolarmente evidente nelle scene dell'intervista esclusiva, la cui precondizione è il controllo editoriale su quanto verrà pubblicato: Jackie mette a nudo la sua anima con disarmante sincerità di fronte al reporter, ma subito dopo lo avverte "Non creda per un secondo che abbia intenzione di lasciarle pubblicare questo" e addirittura “Io non fumo” dopo aver acceso una sigaretta dietro l'altra.

Che i Kennedy iano stati precursori delle moerne tecniche di utilizzo dell'immagine, dei media e di condivisione di aspetti della vita privata a fini di promozione politica è un fatto storico che viene evidenziato attraverso la figura di Jacqueline, perno di questa strategia comunicativa, ad esempio con la ricostruzione dello speciale tv della CBS “A Tour of the White House” del 62 in cui la First Lady apriva per la prima volta le porte della Casa Bianca al pubblico americano.

Dopo la morte del marito tra le sue braccia, pur nello tsunami emotivo che la devasta, Jackie riesce a conservare quel tanto di freddezza che le serve per portare avanti la costruzione del mito, con l'accostamento alla figura Lincoln, il grande Presidente assassinato un secolo prima, necessario affinché Jack rimanga nella Storia, a differenza degli altri due presidenti assassinati, Garfield e McKinley, che sono caduti nell'oblio. Per perpetuare il mito, Jackie Kennedy ingaggia un braccio di ferro con i servizi segreti e l'entourage del neopresidente Lyndon Johnson, che per ragioni di sicurezza non volevano autorizzare un lungo corteo a piedi per le strade di Washington, che invece lei vuole modellare sui funerali di Lincoln, momento in cui l'intera nazione si fermò in lutto: i funerali diventano un show per i media di tutto il mondo, il cui scopo è cementare il mito di John Kennedy e quindi anche quello di Jackie.

 

 

Natalie Portman

Jackie (2016): Natalie Portman

 

 

Non crediate però che Larraín dipinga un unidimensionale ritratto di una fredda calcolatrice: il fascino della sua Jackie è che è sempre duplice: allo stesso tempo donna distrutta e First Lady dignitosa, forte e vulnerabile, umana e macchina (da consenso), confusa ed autorevole, di una disarmante sincerità e ossessionata dal controllo sulla sua rappresentazione pubblica. Il suo dolore è autentico, ma altrettanto lo è la sua consapevolezza che la narrazione e la rappresentazione dominano sulla verità ("la gente ama le favole. E le favole finiscono per diventare più reali delle persone che si hanno al proprio fianco"). Per questo il suo impegno principale deve essere l'edificazione del mito di Camelot, il musical amato da Jack che, in seguito alle dichiarazioni della stessa Jackie, finirà per identificare nell'immaginario collettivo il breve ma intenso periodo della presidenza Kennedy, una sorta di fugace età aurea da rimpiangere: "There will be great presidents again, but there will never be another Camelot." dichiara.

 

 

Larraín gira il film in maniera superba, con uno stile che può essere accusato da alcuni di essere freddo e laccato, ma è invece rigoroso ed elegante come la figura della sua protagonista. La sua sensibilità nel tratteggiare un ritratto femminile complesso e lontano da stereotipi o semplificazioni agiografiche è connotata da un’estrema raffinatezza visiva. Non indulge mai nello strazio quando racconta le giornate dell'omicidio e della preparazione dei funerali, mostra un grandissimo dolore in maniera trattenuta e non urlata, nonostante non nasconda scene lancinanti come la scioccante ripresa dall'alto del momento dell'omicidio, il sangue che le scorre addosso durante la prima doccia o lo straziante pianto davanti allo specchio: uno stile composto come sempre composta e dignitosa era in pubblico la First Lady, pur nei momento di massima devastazione personale.

In questo vero e proprio “ritratto”, Larraín sceglie coerentemente di basare tutto il film sul primo piano della protagonista: scelta che imponeva di trovare un'attrice in grado di portare il peso di questa attenzione minuziosa ed ossessiva. E la trova in Natalie Portman, che fa un egregio lavoro nel riportare in vita lo stile composto ed elegante di Jackie, sapendo altresì incarnare tutte le sfumature del suo lancinante dolore, e fa un lavoro di ricostruzione meticoloso dell'accento e del modo di parlare e porsi di Jackie. Per quanto abbia gradito la performance di Emma Stone in La La Land, ci sono scene che mi fanno dubitare che l'Oscar per la Migliore Attrice sia andato alla persona giusta: il pianto davanti allo specchio in aereo e lo smarrimento durante il giuramento di Lyndon Johnson, e poi quando si aggira disorientata negli ampi corridoi di una Casa Bianca che improvvisamente, dopo nemmeno tre anni, non le appartiene più (ma lei sa che una First Lady “deve essere sempre pronta a fare le valigie”).

 

 

Natalie Portman

Jackie (2016): Natalie Portman

 

Per citare anche gli altri interpreti, John Hurt ha alcune scene struggenti come sacerdote che Jackie consulta come guida spirituale, mentre Peter Sarsgaard è Bob Kennedy, Greta Gerwig la segretaria e confidente Nancy Tuckerman, e Billy Crudup il reporter di Life.

Lode alla costumista Madeline Fontaine che ricrea i mitici abiti di una delle massime icone di stile del XX secolo, a partire al completo rosa di Chanel imbrattato dal sangue. Efficace complemento alle immagini è la colonna sonora di Mica Levi.

 

 

"Jackie" di Pablo Larraín è un efficace ritratto di una donna, umana e politica, che improvvisamente deve gestire la perdita del marito e del suo ruolo pubblico e deve immaginare come andare avanti nella vita, dimostrando la freddezza necessaria per preservare quanto avevano costruito ed anzi esaltarlo tramutandolo nel mito di Camelot. Mentre si allontana definitivamente in auto dalla Casa Bianca Jackie vede le vetrine adornate di manichini vestiti ed acconciati come lei, mentre risuona la canzone del musical : “Don’t let it be forgot, that once there was a spot, for one brief shining moment, that was known as Camelot.” .

 

 

Natalie Portman, Peter Sarsgaard

Jackie (2016): Natalie Portman, Peter Sarsgaard

 

 

 

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