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Jackie

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Jackie

di laulilla
8 stelle

È l’ultima fatica di Larrain, Jackie, ovvero la falsa-vera biografia di Jacqueline Kennedy.

Chi si illude che questo film permetta di acquisire qualche informazione in più sull’oscuro assassinio (1963) di John Kennedy, da soli due anni presidente degli Stati Uniti, o sulla sua graziosa e chiacchieratissima moglie Jacqueline certamente ne riporterà una delusione. Allo stesso modo era rimasto deluso chi si aspettava dalla visione di Neruda la celebrazione del rivoluzionario vate quale omaggio a un poeta morto opponendosi a Pinochet. L’intento di Larrain, in tutti i suoi film, mi sembra sia stato sempre quello di portare alla luce l’essenza umana dei suoi eroi-personaggi, indagando la loro verità più profonda alla luce dei condizionamenti del loro tempo. Sotto questro aspetto Tony Manero o Padre Vilar non sono meno “veri” di Neruda, realmente vissuto; così come, rovesciando la questione, Neruda, è nel film di Larrain, altrettanto immaginario quanto Tony Manero: la loro verità è tutta interna all’opera di cui diventano protagonisti, veri e falsi in ugual misura. Paradossalmente, però, spesso, meglio di un documentario, di un’inchiesta giornalistica o di un saggio biografico ci aiutano a capire un’intera epoca storica. Questo lungo preambolo non può che valere anche per l’ultima fatica di Larrain, Jackie, ovvero la falsa-vera biografia di Jacqueline Kennedy.

 

Jackie è il nomignolo col quale Jacqueline era chiamata dal marito John, che a sua volta lei chiamava Jack. Il particolare ha una funzione narrativa; non solo ci introduce all’interno della vita della coppia presidenziale, ma dentro il progetto (che era di entrambi ma che fu portato avanti da lei) di creare attorno a quella coppia, un ampio consenso popolare, grazie all’uso della televisione, già molto presente all’epoca nelle case americane. Tutta di Jackie era stata l’iniziativa di trasformare la Casa Bianca in un luogo di incontro dei grandi personaggi della cultura e dell’arte contemporanea; di tenervi concerti; di arredare alcune stanze in modo che ricordassero la storia americana, soprattutto quella grande storia di libertà e giustizia incarnata dal Presidente Abraham Lincoln, che a quegli ideali aveva sacrificato la propria vita. Da Jack, invece, era arrivato il suggerimento delle visite televisive alla Casa Bianca: la graziosa Jackie, in funzione di impacciata accompagnatrice, a illustrare, spiegare, raccontare, mentre milioni di americani guardavano con interesse e simpatia l’insolita attenzione (vera o presunta) nei loro confronti. Naturalmente quell’ondata di ammirazione era per lei, che tuttavia, leale nel gioco di squadra, la rifletteva sul marito, accontentandosi di giocare di rimessa, e godendo dei privilegi che in ogni caso le arrivavano grazie a lui.

 

 

 

Su questa “vita di corte”, allietata dalle feste danzanti del bel mondo di allora, sulle note del musical Camelot, si abbatté, come un fulmine a ciel sereno, l’attentato di Dallas, che in poche ore mise fine a ogni spensierato e spregiudicato sogno di gloria e di potere, annullò il ruolo di Jackie, che ancora sotto choc per la feroce crudeltà dell’attentato, era stata costretta a sgombrare il campo subito, per far posto al nuovo presidente. Era ben decisa, però, a non lasciarsi travolgere e soprattutto a non accettare l’irrilevanza cui sembrava destinata ora, senza rimedio.

Il film, a questo punto entra nel vivo della storia che è il racconto di come, utilizzando tutta la determinazione dura e spregiudicata di cui era capace, Jackie fosse riuscita a imporre a tutti, attraverso l’imponente funerale, non solo la glorificazione del suo Jack, ma l’immagine epica di lui, degno, come Lincoln, della sepoltura ad Arlington nel cimitero degli eroi, in una tomba di famiglia, per realizzare la quale erano stati esumati i corpi dei due figli morti precocemente, uno alla nascita e l’altro al terzo giorno di vita.

Il film racconta tutto ciò attraverso un complesso capolavoro di montaggio in cui si alternano autentiche immagini di repertorio con altre girate con la pellicola e la macchina dell’epoca, perché si ricostruissero in modo perfetto quelle ritrovate delle “visite alla Casa Bianca”* . A queste immagini, vere e quasi vere, si affiancano quelle che costituiscono la narrazione di tutta la storia, ricomposta attraverso una serie di rimandi al passato, di memorie riemerse durante il racconto-intervista- confessione che Jackie, a pochissimi giorni dal funerale di Jack, aveva rilasciato a un giornalista, dal quale aveva preteso la supervisione del racconto e la cancellazione di tutte le parti che avrebbero diffuso della coppia presidenziale e di lei, un’immagine forse più veritiera, ma molto meno perfetta. Fra queste colpiscono la lunga conversazione col prete cattolico (John Hurt al suo ulimo film); l’ammissione di un matrimonio più deludente del previsto e della sua conseguente sublimazione; l’affannosa ricerca di un perché destinata a rimanere senza risposta. Altrettanto rimangono senza risposta nella mente dello spettatore altre domande. Chi era veramente, al di là della gloria postuma voluta da Jacqueline, John Kennedy ; quali erano stati i suoi meriti politici, al di là dei bellissimi discorsi che tutti abbiamo ammirato? A chi era giovato, inoltre, il frenetico attivismo di Jackie per ammantare di gloria una presidenza alquanto incolore, almeno fino a quel momento, se non a se stessa, che da allora aveva costruito di sé quell’icona di eleganza e bellezza, di “principessa consorte” che sempre l’avrebbe accompagnata? Quel dolore profondo era un dolore rabbioso per l’improvviso mutamento della propria sorte o era un dolore vero e rabbioso insieme? Il racconto, come spesso quelli di Larrain, riflette sul potere, sull’utilizzo dei mass-media nel costruire il consenso politico; sulla potenziale falsità, camuffata da verità che trasforma uomini (e donne) senza qualità in idoli mitici. Magnifico e complesso film, di non facile lettura, interpretato con grande professionalità da una Natalie Portman davvero da Oscar.

 

*alle quali non sarebbe stato possibile sostituire con elaborazione digitale (se non con costi proibitivi) la vera Jackie con Natalie Portman.

 

 

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