Regia di Nicolas Pesce vedi scheda film
Sorprendente opera prima, girata in bianco e nero e con estrema capacità di sintesi (75 minuti circa). The eyes of my mother è un horror che spesso cede il posto al dramma. Assolutamente verosimile, pertanto ancor più inquietante, ha (involontari) punti di contatto con due film italiani ispirati dalla cronaca: Dogman e soprattutto Rabbia furiosa.
La piccola Francisca (Kika Magalhães) è muta testimone di una tragedia: l'intrusione in casa del maniaco Charlie (Will Brill) è causa di un omicidio, vittima la madre. Il rientro del padre (Paul Nazak) si rivela essere provvidenziale. La famiglia di Francisca è costituita da gente modesta, lavoratori abituati a vivere tra bestie da allevamento, isolati dal resto del mondo. Qualche anno dopo, quando Francisca perde il genitore, deve prendersi cura di Charlie: l'assassino è infatti stato tenuto a lungo segregato, senza occhi e con la lingua recisa. La solitudine estrema, la terribile esperienza e una concezione distorta della realtà inducono Francisca a cercare di formare una famiglia, utilizzando tattiche ben poco convenzionali.
"Cosa farò adesso? Non posso più stare sola. Cosa farò adesso? Aiutami mamma! Cosa farò adesso?"
Francisca (Kika Magalhães)
Opera prima di un giovane regista, Nicolas Pesce (classe 1990), The eyes of my mother è un piccolo saggio di capacità artistica, in grado di estendersi dal genere horror in direzione melodramma. Tutto girato in bianco e nero, per rendere più accentuato il contrasto tra gli opposti (bene e male, genitori e figli, crimine e vendetta, amore e odio) raggiunge talvolta picchi di lirismo straziante, come nella scena in cui Francisca lava il cadavere del padre, lo ripone a letto e si addormenta tenendolo delicatamente tra le braccia. Ma la poesia, il romanticismo, lascia spesso il posto a momenti insopportabili, durante i quali si scatena l'altra personalità di Francisca, ragazza sfortunata e triste, ora vittima poi -inevitabilmente- carnefice. La sensata tendenza a censurare i momenti più feroci (tipo l'estrazione degli occhi ai prigionieri in catene o le determinate, implacabili, numerosissime coltellate) contribuisce a rendere ancora più tetro il clima di afflizione, dolore e spaesamento vissuto da tutti i protagonisti: per i quali non esiste scampo, nessuna via di fuga; il "male di vivere" coglie uno per uno tutti i personaggi, spiati dall'occhio imparziale della telecamera -spesso in lontananza, da dietro una finestra- e tratteggiati al pari di indifesi insetti (accostamento suggerito dall'incipit e dalla chiusa -circolare- con ripresa dall'alto). Il giovane regista, anche autore della bella sceneggiatura, centra ogni aspetto del film, con attenzione ben riposta sia alla forma (le inquadrature spesso dicono, sottendono, ben più delle parole) che ai contenuti (o ai valori tradizionali della famiglia e alla necessità di dare un senso all'esistenza). Se poi non ci si vuole perdere a riflettere troppo sui preziosi spunti psicologici che ruotano attorno alla formazione (glaciale, impersonale, delirante) mentale della fantastica e ferale protagonista (la bella e fredda al tempo stesso -ma comunque strepitosa- Kika Magalhães) allora anche solo come film di intrattenimento (decisamente inadatto, però, ai più sensibili), questo The eyes of my mother sa comunque farsi apprezzare: valga per tutte la spaventosa (perché verosimile) scena della ragazza madre che -senza immaginarne le conseguenze- offre un passaggio a Francisca. Si ritroverà senza occhi, cercando di capire cosa le sia successo, e anche urlando a "squarciagola" non potrà essere sentita da nessuno... nemmeno da se stessa.
Curiosità
Il finale si avvicina a quello di The Texas chainsaw massacre (1974), mettendo in scena il provvidenziale passaggio di un camion il cui autista si rivela determinante alla risoluzione conclusiva. Ma i punti di contatto con il film di Hooper sono anche altri, e vanno dalla presenza di una famiglia con sue regole -e concezioni etiche distorte- all'ambientazione rurale e dispersiva di una infinita campagna, nella quale sembra predominare -più della civiltà- la legge della sopravvivenza e dell'istinto primordiale.
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