Regia di Tim Sutton vedi scheda film
Venezia 73 aspettava l'horror di Tim Sutton come una grande novità, in quanto è da anni che il festival di Barbera non proponeva al pubblico un film di genere (se non nel caso di qualche classico restaurato). Ebbene, la platea di Venezia è rimasta delusa. Dark Night è l'anti-horror per eccellenza. Eppure l'orrore c'è sempre, e non sta negli jump-scares ma nei silenzi, nei vuoti, negli spazi e nelle cose.
L'elefante nella stanza l'aveva già visto Gus Van Sant in Elephant così come in Paranoid Park, ma Tim Sutton non demorde e torna sul tema prendendo questa volta spunto dalla strage fatta durante la prima di The Dark Knight Rises in Colorado, ad Aurora. L'idea è quella (van-santiana) di seguire i personaggi nelle loro attività quotidiane le ore prima della strage. Il film, come Elephant, nega il crescendo, ma rispetto al capolavoro del regista americano Dark Night si muove in maniera più frastornante e dispersiva, allargando gli orizzonti ben oltre i contorni dei dolly di Elephant.
Il soggetto del film è la generazione di oggi, composta di esseri umani malmenati dalle proprie stesse, apparentemente inoffensive, ossessioni. La tecnologia ha assunto ormai un punto di vista tutto suo, e costituisce un n-esimo occhio con cui le persone si confrontano e si misurano (vedasi The Den). Il film non fa mai la morale, nonostante un discorso un po' fuori luogo sul carattere inoffensivo dei videogame violenti (non perché non sia condivisibile, anzi, ma perché è quasi uno spiegone), né dà direttive precise. La videocamera si muove liberamente da un contesto all'altro, osservando gli esseri umani della sua storia non fare nulla, impalati nei loro ruoli, tutti sul punto di esplodere. A tal proposito, tre o quattro shock arrivano efficaci come neanche i jump-scare.
Così come aveva tentato di fare (fallendo) David Robert Mitchell in It Follows, i movimenti di camera sono fluidi, sì, ma pesantissimi, e sembrano trattenere dietro di sé lo sguardo di una qualche entità aggressiva. Capita spesso che la mdp si muova di soppiatto verso un personaggio, lo prenda a distanza, e contempli con delicatezza i volti. Ed è allo stesso esemplare la gestione dei tempi, dei ritmi (dilatati) e delle carrellate che rendono inquietanti le cose più inoffensive (c'è forse in Dark Night il palo della luce più pauroso della storia del Cinema).
Ma è sul fronte citazionista che Dark Night vacilla. Sfacciatissimi i riferimenti al già citato Elephant (le ultime due inquadrature sono stampi del capolavoro di Van Sant), ma anche a Paranoid Park (uno dei giovani protagonisti è uno skater dai capelli dipinti di rosso). Efficaci invece le musiche: pochissime, e mai orrorifiche, ma cadenzate e delicate, apparentemente fuori tema ma in realtà azzeccate.
Gli appassionati di horror che vogliono l'horror vero e proprio stiano alla larga. Corra a vederlo invece chi desidera vivere in un realissimo incubo americano. Senza maledizioni né fantasmi: basta l'essere umano.
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