Regia di Elite Zexer vedi scheda film
Un film ben girato e ben interpretato, ma estremamente triste.
In un poverissimo villaggio beduino in Israele, a due passi dalla fontiera con la Giordania, sono in corso i festeggiamenti per il matrimonio di Suleiman con la sua seconda moglie. Jalila, la prima consorte, fatica a nascondere il suo senso di umiliazione e, proprio in quei giorni, scopre la relazione della figlia maggiore Layla con un collega dell’università che frequenta. I genitori si erano però già impegnati a far sposare la ragazza con un altro e questo amore proibito rischia di gettare l’onta sull’intera famiglia. Layla decide nonostante tutto di agire di testa sua, anche a costo di sconvolgere le tradizioni ancestrali della piccola comunità, mettendo a dura prova le convinzioni dei suoi congiunti.
La regista israeliana Elite Zexer racconta una vicenda molto dura, la storia di una battaglia persa in partenza. I personaggi maschili sono tutti odiosi, a cominciare dal padre-padrone Suleiman, in apparenza affettuoso nei confronti delle figlie, ma profondamente egoista e persino arrogante in virtù di un potere che gli deriva da secoli di oppressione maschile. Inizialmente più comprensiva nei confronti della figlia, anche la madre di Layla finisce tuttavia con il cedere a consuetudini ataviche di cui è a sua volta vittima. Qui sta tutta l’ambiguità di un film dai toni volutamente femministi ma intriso di un pessimismo che non lascia alcuna speranza di riscatto. Si resta con l’amaro in bocca, anche se la descrizione dell’ambiente, la convinta recitazione degli attori e la spigliatezza dei dialoghi conferiscono agli eventi narrati un ritmo pregevole. Da vedere solo se non si teme di uscirne con il morale a pezzi.
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