Regia di Michael Cimino vedi scheda film
Nel biennio '78/'79 uscirono tre film che affrontavano la spinosa questione guerra in Vietnam. Lo fecero in modo talmente convincente, ispirato ed esaustivo, che tutto quello che si sarebbe visto dopo avrebbe avuto a mio avviso risultato inferiore o derivativo. Il Cacciatore, Tornando A Casa e Apocalypse Now hanno toccato vette cinematografiche difficilmente raggiungibili. Tre opere immense, coraggiose, scritte dirette e interpretate magistralmente. Cimino e la sua magnifica squadra di attori, alla quinta visione riescono ancora a rapirmi ed emozionarmi. Lo fanno tracciando sullo schermo una storia convincente, intensa, dura, credibile e resa possibile da una scrittura autorale e da una chiarezza d'intenti ferrea che se ne infischia di tempi canonici, volontà dei produttori e clichet e basa tutto sull'empatia tra lo spettatore e l'intera comunità di Clayrton, di cui il regista americano ci chiama a far parte. Vita di paese, vita operaia, di figli di immigrati cresciuti attorno all'acciaieria che ne scandisce i ritmi lavorativi. Matrimoni, feste tradizionali, condivisione di interessi, passioni e divertimenti. Destini che si intrecciano, antichi rituali, speranze e illusioni; e sogni da cullare o infrangere, debolezze, princípi etici, scelte, dignità, senso del dovere, amicizia, amore. E poi l'immensa allegoria della caccia e dunque l'orrore e la deriva della guerra, la follia, la tragedia. Tre ore abbondanti di capolavoro assoluto. Quando a Hollywood i registi avevano carattere. Leggendarie, sul set, le performance (sovente stoiche o improvvisative) di De Niro, Walken, Streep, Savage, Cazale. Musica e finale struggenti e indimenticabili. Pietra miliare.
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