Regia di Michael Cimino vedi scheda film
Il Cacciatore di Michael Cimino torna in sala in versione restaurata per il quarantacinquesimo anniversario, lo rivedo per la terza o quarta volta e mi rendo conto di quanto certe opere hanno bisogno di stratificare le visioni per essere comprese appieno.
L'autore si prende tutti il tempo che gli serve per farci partecipi della vita di un gruppo di amici appartenenti alla comunità russo-ucraino-americana e residenti in una brutta cittadina industriale della Pennsylvania, dominata dalla fumosa acciaieria dove diversi di loro lavorano come operai. Tre ragazzi (Michael - Robert De Niro, Nick – Christpher Walken e Steven - John Savage) stanno per partire per la guerra nel Vietnam, ma prima Steven sposerà la fidanzata Angela e il giorno dopo gli amici saliranno insieme in montagna per l'ultima battuta di caccia al cervo prima della separazione dai reclutati.
Tutta la lunghissima parte iniziale, con la chiassosa festa del matrimonio ortodosso e poi la caccia al cervo, che alle prime visioni mi sembrava troppo prolissa, è invece è pienamente giustificata nella struttura narrativa e tematica che Cimino sceglie per il suo film. Serve tutto quel tempo per condurci all'interno delle esistenze dei protagonisti e farceli conoscere a fondo, per poter poi comprendere quanto l'esperienza della guerra devasterà le loro esistenze, sventura di cui sembrano del tutto inconsapevoli e di cui il regista inserisce nel clima festoso alcuni tetri presagi, come l'incontro con il veterano ostile e rancoroso, la goccia di vino che macchia l'abito della sposa. I corteggiamenti di Linda (Meryl Streep), sentimentalmente incerta tra Nick e Michael, le ragazzate ancora da adolescenti, i balli folcloristici e le partite a biliardo, bevendo birra e cantando Can’t Take My Eyes Off You sono tutti tasselli di un'esistenza normale, che appare persino banale e scontata finché una tragedia storica, fuori dal controllo degli ignari protagonisti che vi vengono trascinati a migliaia di chilometri di distanza da casa, non la manda in frantumi.
Cimino preferisce dilungarsi su questo e saltare a piè pari il primo impatto dei ragazzi col Vietnam. Infatti, dopo oltre un'ora di incipit americano, ci scaraventa di colpo nel pieno dell'orrore della guerra , con una transizione magistrale, dove il sonoro delle pale degli elicotteri da combattimento si sente già all'interno del bar incombendo sulle malinconiche note suonate al piano da uno degli amici, anticipando la scena successiva sul campo di battaglia. Ci ritroviamo subito in un villaggio distrutto dai bombardamenti e dai lanciafiamme, a cui segue velocemente la cattura da parte dei vietcong e l'oscena roulette russa imposta da un sadico comandante ai prigionieri: una sequenza insopportabile, un trauma da cui nessuno tornerà più indietro come era prima.
Ma quella in Indocina è solo la parte centrale del film, perché poi l'attenzione di Cimino torna a focalizzarsi sull'America e sulla grigia cittadina della Pennsylvania, dove chi è sopravvissuto deve rientrare per riprendere una vita che però non è più possibile ricominciare come era prima.
Nick resta in Vietnam perso per sempre nella ripetizione coattiva del trauma, trasformato in assurdo gioco d'azzardo sfruttato cinicamente da un losco biscazziere, Michael torna a casa e si mette con Linda, ma deve affrontare colossali problemi di reinserimento, Steven è rimasto senza gambe e senza voglia di ricominciare.
Michael, che già prima del reclutamento sembrava il tipo più tosto e determinato del gruppo e durante la guerra appare in grado di mantenere la freddezza persino nel pericolo più estremo, anche dopo il rimpatrio è quello che più di ogni altro cerca stoicamente di rimettersi in piedi e di salvare e supportare gli amici più fragili: forzando Steven a lasciare la clinica dove è ricoverato e tornare dalla moglie e persino ritornando a Saigon, che sta per cadere in mano ai vietcong e da cui gli americani fuggono precipitosamente, alla ricerca di Nick. Ma anche la sua psiche è profondamente segnata : evita i festeggiamenti di bentornato, preferendo nascondersi in un motel, e poi il cervo graziato rivela che di violenza ne ha avuto abbastanza, dopo aver capito cosa significa essere preda dei giochi di morte altrui.
Il sommesso canto finale di God Bless America da parte dei sopravvissuti riuniti intorno a un mesto tavolo, che si ritrovano in un momento di intima comunione quasi per rivolgere una preghiera a Dio a proteggere loro stessi, ma anche un Paese la cui gioventù veniva annichilita dalla guerra: una chiusa appropriata per un film che si caratterizza soprattutto come analisi antropologica dell’impatto della Guerra del Vietnam sul popolo americano e sull'elaborazione del lutto portato da questa tragedia storica, dove l'unica parziale ancora di salvezza che Cimino sembra voler indicare nel commovente finale sono i legami comunitari.
Cimino, sfidando tenacemente le imposizioni dei produttori che volevano sforbiciare tutto e soprattutto il matrimonio, filma un'opera fuori dai canoni, riuscendo sia come sceneggiatore che come regista a dominare 183 minuti di pellicola con una dinamicità e fluidità narrativa che mi erano sfuggite nella prime visioni. Il Cacciatore nella sua innegabile sincerità riesce a commuovere nel profondo raccontando il dolore e la perdita, ma anche il legame dell'amicizia e della lealtà: è un'opera di struggente intensità con un impatto emotivo devastante. Cimino filma così alla sua opera seconda uno dei capolavori più significativi del cinema della New Hollywood degli anni 70, nonché uno degli apripista del fecondo filone dei film di riflessione e denuncia sul coinvolgimento statunitense in Vietnam appena conclusosi (dello stesso anno 1978 è Tornando a Casa di Hal Asby e solo un anno dopo uscirà Apocalypse Now di Coppola).
Si avvantaggia del realismo partecipato con cui racconta la classe operaia di immigrati di seconda generazione per far deflagrare il ribaltamento dei loro semplici, e un po' ingenui, valori virili operato dalla guerra: one shot , un colpo solo che, per illudersi che la caccia sia una lotta ad armi pari, deve bastare al cacciatore per abbattere il cervo disarmato, poi si tramuta in maniera quasi beffarda nell'unica pallottola all'interno del tamburo della pistola durante la roulette russa di cui sono vittime.
Una vita e un ambiente già di partenza non idilliaci quelli dei protagonisti proletari: la bruttezza della loro città industriale con i suoi fumi e ciminiere si contrappone alla purezza incontaminata della natura montana a cui accedono solo per cacciare. Entrambe però non hanno nulla a che fare con la crudezza esasperata della sequenza bellica, che Cimino lancia come un maglio contro gli stomaci più o meno delicati degli spettatori, sfidandoli a non distogliere lo sguardo. La roulette russa, non importa se non ci siano riscontri che sia mai stata usata dai vietcong, è una metafora efficace dell'insensata crudeltà della guerra, della follia autodistruttiva alla base di ogni conflitto, che nega ogni forma di civiltà e di razionalità umana al punto che diventa impossibile conservare la sanità mentale. Non sta invece a significare che i vietnamiti del Nord erano molto più crudeli e spietati dei loro nemici, come qualcuno, nel clima ideologizzato di quegli anni 70, ha superficialmente accusato Cimino di voler dimostrare.
De Niro e Walken, coppia speculare e antonimica di grandi interpretazioni, ci fanno partecipi della trasformazione o tracollo interiore dei loro personaggi, fino al non confronto finale in cui i loro personaggi sembrano esistere su due piani differenti, Nick quasi inconsapevole della presenza di fronte a lui di Michael che tenta disperatamente di trascinarlo fuori dall'abisso in cui è sprofondato. Nel ruolo di Stanley, uno degli amici rimasti in USA, c'è l'ultima apparizione di John Cazale, già divorato dal cancro al punto che non riuscirà mai a vedere il film finito. Meryl Streep, nel primo dei suoi grandi ruoli, partecipò alle riprese per restare al fianco del suo compagno morente.
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