Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
Come se non bastasse la didascalia “C’era una volta...”, si comincia con un bambino che nasce sotto un cavolo. Viene allevato da una vecchietta, dopo la morte di lei entra in orfanotrofio, ne esce che è diventato un giovanotto e si accorge subito che, a salutare gli sconosciuti per strada, possono aversene a male. Poi finisce tra i baraccati della periferia milanese e diventa l’anima della piccola comunità: riesce sempre a trovare una parola buona per ciascuno, riorganizza l’urbanistica (chiamando le strade “5 x 5 = 25” e “6 x 6 = 36”, così i bambini imparano le tabelline), conquista l’amore della servetta Brunella Bovo. Ma c’è Paolo Stoppa, sempre solitario e invidioso di tutti, il cui unico scopo nella vita è avere un cappello a cilindro: quando nell’accampamento si scopre il petrolio (per un caso, piantando l’albero della cuccagna) informa un capitalista che sembra uscito da un film di Capra e che acquista il terreno e fa sgombrare gli occupanti; i quali non si arrendono. Nel 1950 De Sica è già al di là del neorealismo, in un territorio tutto suo dove nessun regista italiano lo ha mai raggiunto: usa un linguaggio semplice e accessibile, ma parla di cose grandi e vere; il libro di Zavattini Totò il buono, uscito nel 1943, reca il sottotitolo “romanzo per ragazzi (che possono leggere anche gli adulti)”. Totò si muove come un anti-Candido in un paese nel quale “buongiorno” vuol dire tutt’altro che “buongiorno”: non crede di vivere nel migliore dei mondi possibili, ma si dà da fare per realizzarlo (c’è persino un timido accenno di amore interrazziale che sboccia fra due personaggi secondari); è buono, nel senso che compie consapevolmente il bene senza ignorare l’esistenza del male: diversissimo, dunque, dai Forrest Gump e dai Benigni che ci propina il bieco buonismo nostro contemporaneo (fa impressione sentirgli dire a un certo punto “La vita è bella”, parole non ancora usurate). Considerare questo film una favoletta innocua significa dimenticare che, con Scelba ministro degli interni, mostrare i poliziotti messi in fuga da un branco di straccioni era un atto poco meno che rivoluzionario; significa dimenticare che il cinema è soprattutto un sogno a occhi aperti.
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