Regia di Bob Fosse vedi scheda film
Il palcoscenico del Kit-Kat Club situato nella Berlino del 1931, mette in scena la libertà più autentica e anti-convenzionale, garantita dalla Repubblica di Weimar, diventando la capitale mondiale delle avanguardie della rottura delle regole tra gli anni 20’ e l’inizio dei 30’.
Brian Roberts (Michael York), timido e impacciato insegnante di inglese giunto dalla Gran Bretagna, ne rimane ammaliato, entrando nel sottobosco suburbano fatto di spettacoli dalle coreografie audaci, soubrette sensuali e piaceri trasgressivi, assieme ad un pubblico di vario genere, che spazia dagli omosessuali/transessuali liberi di vivere come vogliono, passando per gli intellettuali in cerca di ispirazione artistica e borghesi in cerca di divertimenti al di fuori dell’ordinario.
Il regista-coreografo Bob Fosse, costruisce il piccolo microcosmo degli interni, dove straborda il gusto della stravaganza pittoresca, tra i fumi delle sigarette e gli arredamenti strabordanti della piccola pensione in cui alloggia Brian, assieme ad una delle ballerine del club, Sally Blowes (Liza Minnelli), una giovane ragazza, che spera di sfondare nel mondo dello spettacolo e diventare una star.
E’ un mondo fluido in continuo movimento quello di “Cabaret” (1972). Non solo per la sessualità mai incasellata in schemi fissi quanto non conosciuta a fondo neanche dagli stessi personaggi, ma anche per l’irriverente rappresentazione in scena attraverso il canto e la danza, di una società sempre più involgarita, intollerante e razzista, portata avanti dal sempre più forte partito nazista.
Ciò che si situa esternamente al locale, ha un gusto mortifero di ordinarietà. Gli spazi urbani con i loro palazzoni austeri e le strade sporche, mostrano una società opprimente nella sua claustrofobica pretesa di ordine. La malattia nazista degenera in una metastasi nazionale, che contamina pezzo per pezzo ogni settore della Germania.
Persino il bucolico paesaggio di campagna, con i suoi prati verdi, case rurali e l’aura bucolica, ne risulta oramai infettato sin nei suoi più insospettabili abitanti. “Tomorow Belongs to Me”, canta un giovane ragazzo con un tono malinconico, che poi diviene sempre più minaccioso, quando la macchina da presa disvela l’identità di appartenente alla “Hitler Jungden” del ragazzo.
La musica unifica, ma non sempre per gli scopi più nobili. Eppure dietro a quel canto vi si aggregheranno tutti i numerosi clienti della locanda, solo un anziano signore, seduto e pensoso, vi si oppone in stoico silenzio.
Il nazismo aggrega per uniformare sotto un unico credo di una massificazione intollerante, mentre la regia di Bob Fosse ne rompe i confini, creando nuove forme.
I primi piani mostrano i volti collimanti Brian, Sally e dell’aristocratico “Max” (Helmut Griem), in quello che dovrebbe essere un “ménage a trois”, ma in realtà spezza ogni convenzione in merito alla sessualità. Un eterosessuale disvela un lato omosessuale e viceversa. Trionfa la bisessualità, che apre a nuove frontiere inesplorate, ma al contempo anche a legami meno duraturi, in quanto il libero appagamento non può che portare alla rottura di ogni relazione stabile.
Questa continua incertezza sull’identificazione genere d’appartenenza e sessualità, si riverbera nella scelta di Michael York, con quel suo volto giovanile ed efebico, ma anche nella scelta di Liza Minnelli, il cui trucco, rimanda a Louis Brook, ma anche ad una vasta iconografia del periodo, impossibile da etichettare con certezza.
Dal fluido magmatico, allora emerge nel “Masters of Cerimonies” (Joel Grey). La figura tematicamente più importante dell’intera opera.
Attraverso una costruzione per montaggio parallelo, Fosse con gran sicurezza tecnica, relega i numeri musicali sul palco del Kit-Kat Club, accentuandone la complessità in un continuo gioco coreografico di rimandi ed allusioni, a cui si contrappone la violenza nascente del nazismo, così come la trattazione di temi “scandalosi” per l’epoca.
Le coreografie di danza ed il canto, consentono a Fosse di sperimentare una fluidità espressiva, costruendo una vitalità teatralizzante, così da poter sfidare i tabù sociali, senza mai risultare scabroso.
Nel volto senza particolari segni identificativi espliciti del “Masters of Cerimonies”, si racchiude tutta la dolente umanità, di una libertà artistica sfrenata tra le luci poliformi della fotografia di Geoffrey Unsworth e barocchismi di chiara matrice felliniana.
Un po’ Cabiria con un'aggiunta di Gelsomina, ma soprattutto una simbiosi personaggio-attore, degna del mimo Baptiste degli “Amanti Perduti” di Marcel Carnè (1945), Joel Grey s’identifica appieno nella sua maschera anti-conformista.
Il "Masters" è un "fool" capace di sovvertire l'esistente tramite i satirici numeri di "Money Money" e "If You Could See Her", ma a causa di ciò, destinato a vivere solo nel microcosmo del Kit-Kat Club, dovendo lasciare inevitabilmente spazio all'avvento al potere di Hitler, che cristallizzerà per 13 anni l’intera Germania, sotto l’intollerante oppressione massificante della svastica nazista.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori del cinema: //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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