Regia di Roger Ross Williams vedi scheda film
Owen è il secondogenito dei piccolo borghesi Suskind, ha un papà giornalista (futuro Pulitzer), una mamma molto affettuosa e un fratello di poco più grande. All’età di tre anni gli viene diagnosticato l’autismo e fino ai nove non articola parole di senso compiuto. Sconfortati ed impotenti, i familiari notano che l’unico modo per tenerlo tranquillo è lasciarlo di fronte ai film della Disney. Quando Owen comincia finalmente ad interagire con loro basandosi sui dialoghi imparati a memoria, capiscono che il bambino ha trovato in quel mondo magico, immutabile e schematico il luogo per esprimersi, relazionarsi, crescere. Un’incredibile storia vera, tratta dal memoir di Ron Suskind, che Roger Ross Williams (Oscar per il documentario cortometraggio nel 2010) mette in scena partendo dalla fine “ufficiale” del percorso adolescenziale, la conclusione degli studi e il trasferimento in solitaria. Le coinvolte e spesso commoventi testimonianze dei genitori, che nel rievocare lo shock emotivo incoraggiano un atteggiamento aperto alla scoperta di una malattia ai più ignota, si alternano a momenti di vita che rivelano le difficoltà quotidiane di un autistico. Senza ricorrere al pietismo né alla pornografia del dolore (mai una lacrima di troppo o un eccesso di morbosità patetica), più che un film sull’autismo è un film su questo autismo.
Owen, che non è il suo autismo ma un uomo consapevole del proprio autismo, ha trovato il modo per convivere con la malattia attraverso gli insegnamenti e le possibilità date dall’universo statico dei cartoni. Nell’esorcizzare inconsciamente il tempo che scorre mettendo alla prova la sua autonomia, Owen diventa demiurgo della propria storia: non solo crea disegni e favole ispirate alla Disney, ma diventa egli stesso un cartone. Life, Animated è letteralmente questo: una vita, quella di Owen, che è tale in quanto animazione, in un montaggio che lega la realtà (filmati di repertorio, pezzi contemporanei, interviste) a frammenti animati (rievocativi o immaginati) in cui il bambino che non sa comunicare è diventato “il protettore degli aiutanti perduti”. Capisce che uno può farsi eroe solo se non abbandona i vari Sebastian, il Grillo Parlante, Timon, Pumbaa, Rafiki, Baloo e tutti gli altri: e questa celebrazione della figura dell’aiutante è bellissima. Magari c’è un difetto di semplificazione e vorremmo saperne di più a livello clinico, forse c’è troppa mancanza di criticità nei confronti di un’azienda, la Disney, che proprio immacolata non è, può essere ci sia qualche scompenso narrativo nell’illustrare progressi e regressi. Però questo film è un’altra cosa e tra tanti aggettivi che potrebbero venire in mente, dal “tenero” al “toccante” fino al “divertente”, sceglierei un termine audace ma che mi convince: è un’ispirazione.
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