Regia di Woody Allen vedi scheda film
Eroe inconsapevole che si batte per la resistenza degli imperfetti, Woody Allen scende in trincea sfidando sé stesso (e dunque tutte le sue fisime) e il mito della frontiera bellica. Sin dal titolo omaggia, insegue, cita il capolavoro di Lev Tolstoj (Guerra e pace, naturalmente) e le motivazioni di tale amorevole riferimento sono facilmente individuabili: pur imbastendo una parodia brillante piena zeppa di battute disarmanti, cova nel profondo della sua anima narrativa e psicologica una profonda inquietudine derivata dai legami di coppia instabili, dalle sofferenze del nucleo famigliare, dalla dominazione interiore del contrasto sentimentale. È il caso raro di un film comico girato come una tragedia d’appendice, caratterizzato dalla peculiare filosofia alleniana del girare attorno alle cose senza mai approfondirle, forse nemmeno capirle fino in fondo.
Memorabile, appunto, rimangono le conversazione vacuamente intellettualistici che Boris intraprende con l’amata cugina Sonja: sono dialoghi puramente e spudoratamente alleniani, e sono la dimostrazione più palese che lo scenario enfatico ed evocativo della Russia non cambia, nella sostanza, lo stile del regista newyorkese. Che, lontano da casa, si manifesta ancora una volta a suo agio nell’Europa delle sue radici, continente che culturalmente l’ha sempre maggiormente apprezzato rispetto alla natia America. Amore e guerra unisce curiosamente la comica keatoniana degli anni venti e l’espressionismo cerebrale di Bergman, le dinamiche esistenziali di Dostojevskji e la beffarda dissacrazione di un Salinger. Allen è tutto questo, è uno degli autori più colti, sensibili, intelligenti del suo tempo. E, soprattutto, uno dei più ironici. Perché essere ironici vuol dire essere colti (nonché intelligenti). Di Amore e guerra si potrebbe ricordare una marea di citazioni, ma dimenticandone anche una si farebbe torto alla gustosità del film: vedetelo, divertitevi. E alla fine un po’ di amarezza ci sta pure, nonostante tutto.
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