Regia di Erik Gandini vedi scheda film
Film-documentario che denuncia il fallimento della teoria nata negli anni '70 sull' affrancamento dell'individuo svedese. Documentario stilisticamente corretto e preciso, dai toni forti a tratti per accentuare il pensiero del regista, ma troppo esasperato al negativo.
Quando decisi di guardare "La teoria svedese dell'amore" , documentario di Gandini del 2015, sapevo perfettamente il tema di cui voleva parlare il regista. La Svezia, si sa, è una Nazione all'avanguardia, con uno standard di vita alto e un certo benessere economico, quindi la mia curiosità su come fosse realmente organizzata la rerte sociale e familiare era molto alta. Tutto parte dal principio elaborato negli anni '70 che l'affermazione di un individuo debba basarsi sulla sua completa indipendenza, economica ed affettiva, dagli altri. Il che può essere anche giusto, la scelta libera e non condizionata di vivere o meno con altre persone, slegata dalla necessità di "farsi carico" e "prendersi cura" di qualcuno, potrebbe funzionare. Immagino quindi che la volontà di convivere con qualcuno sia ancor più motivata e sentita da reali sentimenti, piuttosto che da condizionamenti e obblighi. Peccato che questo principio sia andato molto oltre. La totale indipendenza da un nucleo familiare ha portato circa la metà della popolazione svedese a vivere da sola,egoisticamente, dimenticandosi dei propri genitori che, il più delle volte, finiscono per morire soli in strutture di ricovero apposite per anziani. Questo affrancarsi dall'altro ha portato all'aumento dei suicidi per solitudine, spinge e motiva le donne single a procreare da sole con kit "fai da te" ordinati tranquillamente via internet e con tanto di istruzioni per l'uso. Così in un bel pomeriggio una donna libera ed indipendente può tranquillamente generare una vita comodamente sul proprio divano....."perchè impegnarmi con una relazione quando un uomo non mi serve?" , come citato nel documentario.... O la scelta di un medico chirurgo che, sfuggendo dalla sua terra natia e da questo stile di vita, decide di trasferisi in un villaggio dell' Africa, in totale assenza di mezzi, per curare e guarire le persone che, in mezzo al niente, vivono nell'aggregazione totale. E' sicuramente una denuncia molto forte, anche troppo dal mio punto di vista. Penso che se quel medico-chirirgo fosse rimasto in Svezia forse avrebbe portato qualche piccola modifica, nel suo piccolo, ad un sistema così sbagliato. Tecnicamente il documentario è accurato, pulito. La narrazione ha un filo logico ben preciso, le battute e le interviste sono essenziali, ogni inquadratura è ben studiata, il regista si avvale anche di colori freddi per sottolineare la solitudine e la freddezza dei rapporti sociali. Gandini ha voluto esasperare al negativo uno stile di vita, senza guardare però all'altra metà del popolo svedese, quella che sceglie liberamente di legarsi a qualcuno, pur mantenendo la propria individualità e indipendenza.
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