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Wiener-Dog

Regia di Todd Solondz vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Wiener-Dog

di alan smithee
8 stelle

Un bassotto passa di padrone in padrone, testimone muto e dignitoso di egocentrismi, insicurezze, cattiverie e meschinerie di una umanità incorreggibile e frustrata. Solondz al suo meglio ci regala un altro tassello ironico e penetrante della propria acuta cinematografia, ritratto spietato di una umanità egoista e alla deriva.

Un tenero, mansueto, poco espansivo o comunque molto naturale ed espressivo “cane salsiccia” (questo la traduzione del bassotto in molte lingue straniere) fa la spola di padrone in padrone mettendoci in risalto quattro trecce di vita dominate dall’irrisolutezza, dall’incertezza, instabilità, precarietà del vivere e restare ancorati alle proprie capacità, attitudini, interessi di fronte ad un mondo spesso ostile o difficile da comprendere ed accettare.

La malattia di un ragazzino dell’alta borghesia che impara a confrontarsi con la crudeltà della morte a cui forse è destinato prematuramente, lo spinge da una parte a trovare un alleato e dall'altra a porsi per la prima volta domande esistenziali a cui i genitori non possono né potranno mai riuscire a rispondere; la vita inerte di una ragazza che salva il cane da un’eutanasia-capriccio, conducendola poco dopo tra le braccia di uno strano ex compagno di scuola, e lungo un viaggio intrapreso con costui a trovare il fratello down del ragazzo e la sua consorte; poi ancora, senza un concreto filo conduttore - utile peraltro a rendere meno macchinoso il processo di "cambio di padrone" - un cineasta incompreso e destinato all’oblio sente che il proprio tempo è passato e comprende la propria inadeguatezza rispetto alle nuove generazioni che non riesce più a comprendere, imparando tuttavia a considerare questo confronto impossibile una circostanza nemmeno troppo negativa; infine un’anziana donna malata e malferma, riceve la visita interessata della nipote e del suo strampalato fidanzato, artista donnaiolo di colore eccentrico e scontroso di nome Fantasy: si mostrerà arrendevole alle richieste che sottostanno a quella visita maldestra, pur di tornare a star sola col proprio cane (ribattezzato appropriatamente “Cancer”) e la propria scontrosa badante, ma soprattutto di fronte ad una fine ormai imminente che la mette in contatto con se stessa e alcuni cloni multipli di ciò che fu da giovane.

Il migliore amico dell’uomo diviene qui come un filo conduttore di vicende amare ove l’autoconsapevolezza della propria limitatezza, fragilità, incapacità di trovare realizzazione, diviene l’unica amara certezza di esistenze che non trovano slancio o lo hanno da tempo perduto in attesa di una resa.

Solondz, magnifico cineasta indipendente, portavoce cinico e incorruttibile dei turbamenti inconfessabili, delle fobie più imbarazzanti, della solitudine e della incomunicabilità di una borghesia americana falsamente perbenista, ma anche di chi non riesce a omologarsi alla schiera dei vincenti, si addolcisce lievemente grazie alla presenza di un “angelo” muto e dignitoso, vicino e fedele a chi soffre senza mai divenire invadente o prevaricatore, né ruffiano o sguaiato.

Nemmeno quando lo stesso cagnetto si prodiga ad intrattenerci in un particolare intervallo in cui lo stesso trotterella davanti a sfondi che rappresentano i punti cardinali di una tradizione americana che sopravvive solo come un simbolo di ciò che è stato e ormai appare un sogno.

E' bello ritrovare una serie di attori spesso portavoci di linguaggi sperimentali o progetti indipendenti: tra tutti cito almeno la straordinaria, ironica e in fondo vulnerabile Ellen Burstyn, meravigliosa nel ruolo della cinica vecchietta che si arrende di fronte a tanta inequivocabile ed irrimediabile pochezza, fino a raggiungere la visione celeste ironica e dirompente.

Il bassotto diviene la voce della coscienza, e come tale è destinato a fare la fine del “grillo parlante”: schiacciato dopo essere stato messo alla porta in ben quattro (anzi cinque, contando la prima provenienza) volte da padroni frustrati, insicuri, insoddisfatti, tutti protesi a cercare risposte che forse ognuno di loro non vorrebbe veramente conoscere.

Solondz evita carinerie, o comunque il suo sguardo lucido, crudele e a suoi modo spietato sulle manie che ci devastano e ci rendono alieni in un mondo di mostri, ci porta in una dimensione in cui forse la fine rappresenta l’unica soluzione e chances per farci cambiare rotta.

 

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