Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Uno scrittore, in una bella giornata primaverile, si mette alla macchina da scrivere nella sua elegante e isolata villa di campagna. Immagina così due personaggi, un uomo e una donna, immersi in un ozioso dialogo sul senso della vita.
Cento minuti con tre personaggi (più due comparsate, come vedremo) e un fitto oceano di dialoghi a colmare le lacune dell'azione; la macchina da presa si muove in continuazione offrendo allo spettatore un assaggio di labirintite, ma il film no, quello non si muove mai e rimane inchiodato nel giardino di un'elegante villa di campagna con i suoi tre protagonisti immersi in un verboso chiacchiericcio a base di sesso, sentimenti, ricordi, natura e in definitiva il senso della vita. L'idea di partenza è coraggiosa e il testo di per sé può anche avere interessantissimi risvolti – l'uomo, la donna e il Creatore si confrontano in questa sorta di Eden; il dialogo e quindi la vita scorrono e nel mentre compaiono un pianista (l'arte, la mente all'opera) e un giardiniere (il lavoro manuale, fisico) – ma quello che viene restituito sullo schermo è seriamente sonnolento come pochi altri film hanno il potere di essere. Wim Wenders non è mai stato un regista alla disperata ricerca del successo al botteghino, d'altronde, e di simili intellettualismi è costellata la sua filmografia; in questo caso il regista tedesco scrive anche la sceneggiatura, ma partendo da un testo teatrale (origine percepibilissima, d'altronde) di Peter Handke, il quale compare anche brevemente nel ruolo del giardiniere. Quanto al pianista, invece, trattasi nientemeno che di Nick Cave; Sophie Semin e Reda Kateb sono i due attori centrali della storia e lo scrittore è interpretato da Jens Harzer. Da segnalare che I bei giorni di Aranjuez è stato girato in 3D, forse proprio per aggiungere alla profondità della conversazione una profondità anche visiva; non che poi si tratti di un'attrattiva particolarmente stimolante, ma tant'è. 3/10.
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