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Vinicio Capossela - Nel paese dei coppoloni

Regia di Stefano Obino vedi scheda film

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La recensione su Vinicio Capossela - Nel paese dei coppoloni

di OGM
8 stelle

Vinicio, la sua Irpinia, la nostalgia. Il canto universale di un passato che si è rifugiato nella segreta magia del sacro, fra gli animali notturni che spiano le anime nel buio, e fanno danzare i corpi, aizzandoli a suon di paura. Un film che rimbomba cupamente d'infinito. E, intanto, alza allegramente la polvere, come in uno sposalizio di paese.

La musica si può cercare. È il tesoro nascosto che, nel bosco, emette i suadenti effluvi del mito. È l’anima effusa di creature dai nomi strani, che nessuno ha mai visto, eppure sanno tutto di te. E ti stavano aspettando. Vinicio è tornato dove non è mai stato. Al paese d’origine in cui non è nato, tra la sua gente che vede come per la prima volta. Sa di appartenere a ciò che ignora. Quel segreto è  avvolto nelle sue viscere, se lo porta dentro da sempre, ed è da lì che escono quei suoni universali e selvaggi che lui chiama canzoni. Nel cuore delle montagne dell’Irpinia il mugghio del vento è un coro che, intonato tanto tempo fa, ha continuato a girare, come il gorgoglio di un’emozione svogliata, di un amarissimo amore.  Vinicio è il viandante che adora la terra ostile su cui trascina i suoi passi. Sta chino a guardarla, quando è sassosa o sabbiosa, e intanto riflette su quanto possano comunque essere ironicamente dolci,  la solitudine, l’abbandono, l’incomprensione di chi si gira dall’altra parte. Il suo eremitaggio itinerante, nei villaggi dei suoi avi, è un’esplorazione curiosa e temeraria,  che, però, non vuole violare il mistero, quell’invisibile compagno di viaggio che è l’arcana sintesi dell’insieme delle verità esistenti. Un totem che riassume tutte le forme del creato, al crucistrada in cui è obbligatorio porsi ogni possibile domanda. Le sue parole sono versi. Di poeta e di animale. Questo film li scandisce come se fossero pensieri indagatori, continuamente interrotti per cambiare idea, per mutare umore. I capitoli sono personaggi, reali ma fantasiosi, concreti ma in fondo ipotetici, allegorici, rappresentativi di un modo d’essere che occorre prima definire, a prescindere dai tradizionali ruoli previsti dal mondo. Matalena, Testadiuccello, la Banda della Posta, Cicc Bennet sono come sogni che hanno voluto ad ogni costo trovare una collocazione in un universo in cui non potranno mai avere alcun senso, se non quello di incarnare, gagliardamente, la propria ruspante visione dell’assurdo. Vinicio li segue incantato. E ne fa melodia, una filosofia di vita declinata in note, che è insieme rievocazione e supplica, nostalgia e speranza. L’augurio cantato che il passato sia anche il futuro. Che la ferrovia ormai arrugginita, costruita dagli operai che giacevano con Franceschina la Calitrana, possa finalmente riaprire. Che il latino delle messe, impastato, da  centocinquant’anni a questa parte, con il dialetto dei contadini, possa davvero diventare una lingua eterna. Le preghiere sono strimpellii improvvisati a un angolo di strada, o sotto un albero, nel buio. Si mescolano con le serenate, anche quelle suonate per dispetto, e con i silenzi che parlano di una silvestre magia. Niente di ciò vive ancora, almeno non alla luce del giorno. Però Vinicio ne sente ovunque la presenza, a volte consolante, altre volte opprimente. Evanescente e monumentale, volatile ma scalpitante. La suggestione danzante di un paesaggio naif ma astratto. Una pittura spessa, che usa pochi colori, rustici e stravaganti, per inneggiare a tutte le più fini gradazioni del cosmo. 

 

scena

Vinicio Capossela - Nel paese dei coppoloni (2016): scena

 

scena

Vinicio Capossela - Nel paese dei coppoloni (2016): scena

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