Regia di Jason Lew vedi scheda film
Opera prima di Jason Lew. Non molto originale, ma ben girato e ben interpretato. Più che passabile
Due storie di solitudine e violenza, s’incrociano. Quella di Mo un inserviente presso un canile municipale, che per quanto sfiduciato, si sforza di reinserirsi, dopo aver scontato diciassette anni di prigione ingiustamente, per un crimine, che scopriremo, non ha commesso, afflitto da un carattere irascibile, che lo spinge ad atti sconsiderati e che in sostanza è la sua maledizione, e quella di Doris, prigioniera in un matrimonio sbagliato, con uomo perfido e sadico, un poliziotto che usa il distintivo come paravento, per commettere impunemente i suoi vigliacchi atti di violenza, perfino contro il suo cane, ma soprattutto ai danni della moglie, che evidentemente, come spesso accade stanca di subire continue angherie, un bel giorno si ribella e lo uccide. In pratica un incontro casuale tra disperati, prima tra la reciproca diffidenza, di chi non si conosce e per giunta è stato ferito dal prossimo, poi subentra la solidarietà tra persone che si scoprono simili, a seguire il complice aiuto e infine l’amore, E lui, per lei, metterà a rischio la sua precaria libertà. Presentato al Sundance Film Festival del 2016, il film segna l’esordio dietro alla macchina da presa di Jason Lew. Premesso che non ci sono elementi di novità o di particolare interesse, tuttavia il film è girato con professionalità e ben interpretato e anche se la sceneggiatura è priva di guizzi, tuttavia l’opera nel complesso si lascia seguire volentieri. Interessante riflessione sul senso della giustizia, molte volte schizofrenico, il presunto criminale è un uomo impulsivo e con problemi caratteriali, ma sostanzialmente onesto e corretto, i poliziotti che dovrebbero incarnare gli ideali rappresentanti dell’ordine costituito, nonché i difensori dei deboli, appaiono come pessimi soggetti, prevaricatori e prepotenti. Non male
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