Regia di Nate Parker vedi scheda film
Nella Contea di Southampton, in Virginia, nell'agosto del 1831, Nat Turner, schiavo predicatore utilizzato dai bianchi per ammansire con le sue parole i neri ribelli, con l'intento di dare la libertà alla sua gente organizzò una sanguinosa rivolta che dopo pochi giorni fu sedata, e poi seguita una violentissima rappresaglia. Lui finì impiccato e fatto a pezzi, e la sua memoria infangata per oltre un secolo.
Personaggio simbolo nella lotta di liberazione dei neri, Nat Turner e la sua storia vengono portati sullo schermo dall'attore Nate Parker, in quella che è una vera e propria sfida per il suo esordio da regista; una sfida accentuata dalla scelta del titolo, che apertamente rimanda a quello - identico - del film di David W. Griffith che nel 1915 (al di là dei meriti tecnici) sostenne tesi razziste e di fatto rilanciò il Ku Klux Klan: The Birth of a Nation.
A prescindere da proclami e provocazioni, il biopic su Nat Turner è indubbiamente sentito, ma la voglia matta di 'radicalizzare' il confronto porta il neoregista ad esagerare, schematizzando e semplificando il racconto fino al limite di una distinzione manichea tra i buoni e i cattivi, dimenticando di fornire di una caratterizzazione decente molti dei personaggi che girano attorno al protagonista, ovvero l'onnipresente sé stesso attore, la cui interpretazione invadente fa il paio con la regia morbosa in un mix letale che porta Nat ad assurgere a figura cristologica, con tanto di visione della sua (ma)donna al momento di morire, e la telecamera a soffermarsi oltre il dovuto sui particolari più cruenti, con l'unico intento di sottolinearne la crudezza per ingenerare rabbia.
In questa sagra del troppo e del troppo poco, The Birth of a Nation appare un polpettone piatto, autocelebrativo, e ridondante nell'affannosa ricerca della parabola a tutti i costi.
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