Regia di Alessandro Di Robilant vedi scheda film
Un gran bel film: pulito, veloce, senza fronzoli né compromessi. Passa così splendidamente il messaggio di Livatino, come quello di altri uomini di stato assassinati dalla mafia perché facevano il loro dovere, a proprio rischio e pericolo (mentre l’ottima sceneggiatura, di Pirro e Purgatori, fa vedere, giustamente, che purtroppo non sono tutti così gli uomini di stato). Un messaggio morale e politico. Meraviglioso è il ritratto della sua intransigenza, incorruttibilità, che lo ha portato a morire presto, sorte ampiamente prevedibile anche da lui stesso. Il messaggio passa meglio proprio perché se ne mostrano con poche parole i segni più tangibili: il suo rifiuto di ogni cedimento, di ogni vantaggio personale, si vedono tramite scene di vita dirette. Tra queste, memorabili sono quelle delle bottiglie rotte, dopo che lui le aveva rifiutate come regalo anonimo, o quello del “segno della pace” a messa, che il mafioso gli vuole porgere. L’orrore dell’accettazione omertosa della criminalità al Sud è restituito alla perfezione: si critica bene la tendenza ad accettare, per vantaggio e quieto vivere, lo strapotere dei criminali, favorendo l’isolamento, il disastro e la sofferenza delle persone oneste. Il grande valore aggiunto del film sta proprio in questo: quanto detto si inserisce nella quotidianità più fresca, più originale. Un ritratto dal vero, purtroppo. Come quello eccellente che Scarpati fa della rigidità, della timidezza, della serietà del suo personaggio: perfetto no, esemplare sì.
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