Espandi menu
cerca
The Broken Key

Regia di Louis Nero vedi scheda film

Recensioni

L'autore

OGM

OGM

Iscritto dal 7 maggio 2008 Vai al suo profilo
  • Seguaci 205
  • Post 123
  • Recensioni 3130
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su The Broken Key

di OGM
6 stelle

Film da spiegare. Significato da indovinare. L'esperimento siamo noi. Con quello che, della nostra storia, abbiamo dimenticato.

Certe espressioni sono davvero passate di moda. Quasi nessuno dice più:  è una mente illuminata. Riesumare una frase come questa può solo essere frutto di un progetto ben preciso. Ambizioso, a giudicare dal cast stellare. Fallimentare, stando alle numerose e sistematiche stroncature ricevute. Di fronte a questo film, dagli interminabili titoli di coda, dai cento sponsor e dai mille ringraziamenti, econ un budget presumibilmente di tutto rispetto,  il mondo si spacca esattamente a metà. Fra i due opposti eccessi, tra un’idealità spinta a livelli vertiginosi ed un intransigente richiamo alla realtà terrena, una storia dal volto di Sfinge declama, con imperturbabile distacco, la sua verità coscienziosamente preparata. Per proporci il distillato del suo studio, sceglie lo stile a che a lei più si confà: essenziale e ricercato, sottile come un filo, eppure carico di eccentriche tonalità espressive. La leggerezza del testo – facilmente scambiabile per inconsistenza – possiede, a onor del vero, un’impalpabile eleganza: le parole attraversano  la scena con lentezza, una dopo l’altra, mettendosi ordinatamente in fila, stando attente a dove poggiano i piedi. Entrano così, con passo timidamente danzante, a far parte del decoro della stanza, dei suoi arredi, degli effetti speciali dell’immagine, di tutti quegli accorgimenti ottici, grafici, cromatici, di cui si compone l’ossessivo, onnipresente simbolismo.

La superficie di quest’opera, dal genere indeterminato, è talvolta uno specchio, talvolta un catarifrangente: l’occhio vi si posa solo per ritrarsene, subito dopo, sviato da un gioco di luce che rimanda costantemente ad altro. Impossibile rimanere fermi a contemplare quel (finto)  kitsch ridotto all’osso, frammentario e ribelle ad ogni classificazione, saltellante tra il gusto rétro della fantascienza tascabile e il sapore intramontabile del teledramma. La composizione del déjà vu riesce comunque ad essere straordinariamente originale: forse un po’ troppo, per poterle stare dietro, per potersi godere, almeno in parte, l’armonia dell’insieme. Ci si potrebbe convincere che l’intenzione dell’autore non punti in nessun modo a noi: il messaggio non sembra fatto per giungere al destinatario, bensì per seguire diligentemente, senza sbavature, il suo finissimo – si direbbe, ascetico – percorso concettuale. Ci vuole certo un notevole sforzo, oltre ad una buona dose di pazienza, per metterlo a fuoco, e non lasciarselo scappare. Con il dovuto impegno, un possibile senso prende  gradualmente forma, ma rischia di svanire ad ogni piè sospinto: difficile recuperare ciò che si perde in un solo attimo di distrazione. Occorre molto esercizio per prestare ascolto a ciò a cui non siamo mai stati abituati a pensare, e a cui non ci viene nemmeno gentilmente offerta la chiave d’accesso. Ci tocca così accettare la sfida di inventarci una riflessione, che probabilmente non sarà quella prevista, e che, a sua volta, spezzerà la continuità della trama narrativa, riducendola in frantumi insignificanti. Raccogliendone i pezzi, potremo però magari scoprire, quasi per caso, qualche interessante regolarità. Potremo eventualmente notare come sia ricorrente, in questo variegato susseguirsi  di ambientazioni, la figura del luogo nascosto (la grotta, la galleria, il bosco, i bassifondi, il villaggio sperduto fra i monti, la cripta, la stiva). E unendo questo leitmotiv al generale tono, anacronisticamente sopra le righe, dei dialoghi, delle citazioni, delle rivelazioni, dei ricordi, potremmo renderci conto che, sì, in effetti, nella nostra era i saperi arcaici sono diventati un tabù (ridicolo) che tendiamo a respingere, come ormai estraneo della nostra cultura; eppure, sono celebrati, in forma poetica e narrativa, in opere quali la Divina Commedia, che ancora veneriamo come capolavori. Guardare al firmamento, attraversare gli inferi alla ricerca della verità può sembrare un’antidiluviana assurdità, ma, a ben vedere, si tratta di pratiche che sono alle radici della nostra civiltà e della nostra stessa tradizione scientifica. “Il cielo stellato è l’ultima reliquia di quei fulgidi tempi.” C’è stata un’epoca in cui  esistevano persone disposte a uccidere o spendere una fortuna per raggiungere quel trascendentale obiettivo.  Ma questo genere di battaglia oggi non ci appartiene più. Può capitare allora che qualcuno, provocatoriamente, voglia provare, adottando un linguaggio deliberatamente ermetico,    ad aprirci gli occhi sui segni di cui è disseminata la realtà, per ricordarci l’ineliminabile presenza del mistero (rappresentata emblematicamente dalla chiave spezzata). Ossia: per condurci attraverso un grottesco universo popolato di eroi, vincitori e vinti, di saghe inventate per fare spettacolo o propaganda, e che - estetica crespuscolare e naïf  a parte  - è lo stesso in cui adesso viviamo. Può essere un esperimento ardito, ma comunque legittimo,  quello di affidare al linguaggio cinematografico lo sguardo ingenuo del mito e la dimenticata emozione per la riscoperta del passato. La storia come tesoro degli avi è un’idea antiquata, che è fantascienza riproporre, insieme alle nostre ancestrali paure. Così ci appare straniante che la visione cosmopolita possa passare, anziché attraverso i network della globalizzazione economica, attraverso i percorsi sotterranei dell’archeologia. Perché il genio del terzo millennio non più quello che conosce molte cose sulle religioni, sulla cabala, persino sulla metafisica,  e che è  un ricercatore puro, senza pregiudizi.

---------

Chissà se abbiamo indovinato. Chissà se Luis Nero voleva davvero dirci questo. Chiediamocelo. Ma siamo ben consci che aspettare una risposta è un’illusione:

 

Spiegare un simbolo è dire a qualcuno come sentirsi davanti al primo amore o al cospetto di un’opera d’arte. Ci sono tante interpretazioni quante sono le persone nel mondo.

 

Linda Messerklinger

The Broken Key (2017): Linda Messerklinger

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati