Regia di Tokuzô Tanaka vedi scheda film
Più che una opinione, la seguente è un semplice confronto di due versioni dello stesso racconto fantastico.
Tra le tante storie che il folclore giapponese ha proposto nel corso della storia, quella della yuki-onna o donna delle nevi è diventata, grazie alla versione di questo film, senz'altro una delle mie preferite. Quattro anni prima era stata filmata da Masaki Kobayashi, come parte, insieme ad altre tre storie, del celebre Kaidan (Storie di fantasmi, 1964), la cui visione, parzialmente deludente, ho fatto seguire pochi giorni dopo. Essenzialmente, la storia proposta in Kaidan segue fedelmente una delle versioni più frequentemente raccontate, quella che vede la donna delle nevi assassinare col suo fiato gelido un vecchio taglialegna che, insieme al giovane figlio Minokichi, aveva trovato riparo da una tempesta in una capanna. Il ragazzo assiste inorridito all'assassinio, poi la donna si avvicina anche a lui ma, colpita dalla sua bellezza e dalla sua giovane età, non ha il coraggio di ucciderlo. In cambio della vita, però, si fa promettere di non rivelare mai a nessuno quello che ha visto. Riportato in paese, dove vive con l'anziana madre, il giovane mantiene la promessa. Poco tempo dopo, una bella ragazza educata e timida fa ingresso nel suo mondo, e poco tempo dopo i due si sposano. Messi al mondo tre figli, vivono una vita in pace, ma una sera, colpito da come un raggio di luce abbia fatto assomigliare la moglie alla creatura da lui incontrata quella terribile notte, Minokichi tradisce la promessa e le racconta dell'incontro di dieci anni prima. La donna gli rivela di essere lei la donna incontrata, ma anche questa volta non lo uccide: ripreso il suo sembiante (labbra blu, pelle bianchissima, lunghi capelli neri) si allontana, ma raccomanda all'uomo di trattare sempre con devozione i figli, altrimenti tornerà ad ucciderlo. Minokichi si dispera per aver tradito la parola data, mentre la yuki-onna si allontana nelle distese innevate della notte.
Nonostante la bellezza della messinscena, questa versione della storia non mi ha convinto sul piano emozionale. Ad una prima lettura letterale sembra tutto senza senso (è un racconto folcloristico, dopotutto), la donna delle nevi rimane colpita dal giovane, per cui (questo mi sembrerebbe il motivo principale) torna con sembianze umane e si unisce a lui in matrimonio, mette al mondo tre figli ma alla fine è costretta a partire a causa del tradimento del marito. “Tradimento” relativo, tutto sommato, se si pensa che Minokichi dichiara, a dieci anni di distanza, di non essere neppure certo se abbia sognato. Inoltre è chiaro che la sua promessa non abbia alcun valore, in quanto estorta con la minaccia della morte. Dunque: la donna delle nevi prima lo fa promettere, poi va a stare con lui, poi lo accusa di aver tradito la parola ed abbandona i bambini nel momento del bisogno della madre, minacciando ancora rappresaglie. Tutto questo mi rende difficile essere d'accordo con la pur affascinante interpretazione (la più interessante che abbia trovato e che consiglio vivamente di leggere, d'accordo o no con le idee espresse dall'autore) che ne dà @OGM nella sua bella opinione sul film:
Fantasma è dunque anche la coscienza, un’entità impalpabile che è controllore e giudice della nostra fedeltà alla parola data. La violazione di una promessa fatta in cambio della vita è una leggerezza in cui l’ingratitudine si somma al tradimento. Per Minokichi, la giusta punizione, inflittagli dalla “donna della neve”, è la condanna ad essere per sempre marito e padre nella solitudine, privato dell’amore coniugale, e costretto a farsi interamente carico del gravoso impegno di crescere tre figli.
Per accettare che la yuki-onna rappresenti la Coscienza, bisogna staccarsi di molto dalla lettera degli avvenimenti: altrimenti sarebbe colpevole delle minacce di cui sopra, oltre che dell'abbandono non solo del marito colpevole/innocente, ma allo stesso modo dei figli a maggior ragione innocenti. Secondo me, tutto sommato, si tratta di una storia, così proposta, dal bel sapore folcloristico, fotografata benissimo, ma senza una logica stringente, sia sul piano letterale che metaforico. E neppure per “vaghi cenni” vengo ispirato da qualcosa.
Questi “vaghi cenni” (perchè a questi, mi pare, si deve affidarsi con simili storie) mi convincono maggiormente in Ghost Story of the Snow Woman.
La versione del film in esame, che preferisco nettamente, aggiunge un elemento importante. Le vittime dell'assalto iniziale non sono due taglialegna, ma uno scultore di statue sacre buddhiste cui è stata commissionata la statua in legno più importante della dea Kannon per il tempio locale, e il figlio adottivo ed apprendista. Trovato l'albero giusto, i due trovano rifugio da una tempesta improvvisa in una capanna dove sono assaliti nel sonno dalla yuki-onna. Dopo la promessa fatale, Yosaku (così si chiama in questa versione) si risveglia in casa della madre adottiva, inventa una storia credibile dei fatti e viene incaricato di portare a termine il lavoro del suo genitore/maestro. Avviene l'incontro con la giovane e timida Yuki, mostrato con buona sensibilità e delicatezza, cui segue la morte della madre che chiede a Yuki di sposare il figlio. Nasce un solo bambino, la vita sembra procedere felice, ma il Balì locale ottiene di far intagliare un statua anche ad un famoso maestro, nella speranza di screditare Yosaku e poter approfittare della moglie. La statua del famoso maestro viene presentata, ma il Priore esclude di poterla ammettere nel tempio: nonostante la bellezza indiscutibile, manca della qualità essenziale richiesta ad una statua per poter diventare oggetto di preghiera: uno sguardo compassionevole. Da parte sua, Yosaku ha quasi completato l'opera, ma non riesce a visualizzarne un viso degno, che scorge poco tempo dopo in quello della moglie. Ma ancora manca lo sguardo compassionevole, e decide di rivolgersi agli dei per avere l'ispirazione, recandosi con yuki e il figlio alla funzione festiva. Qui, per la seconda volta, lo sciamano che celebra la funzione avverte la presenza di un fantasma, che aveva colpito cinque anni prima con dell'acqua bollente. Fuggita a casa, Yuki subisce il tentativo di violenza da parte del Balì, ma la yuki-onna lo elimina insieme alle guardie. Raggiunta dal marito e dal figlio, viene raggiunta dallo sciamano che l'accusa di essere un fantasma, ma il marito lo mette in fuga. È solo a questo punto che l'uomo le racconta dell'incontro con la donna delle nevi. Nonostante ami la moglie, deve ammettere che ci sia qualcosa di strano, tra lui e la statua, un'ombra scura che lo segue costantemente.
“Ero io”, conferma Yuki. “Nonostante tutto, alla fine ne hai parlato. Non avresti dovuto. Per tutti questi anni, ho pregato tante volte che rimanessi in silenzio. Da quando sono diventata tua moglie, ho conosciuto la felicità umana. E da quando è nato Tarô, abbiamo vissuto insieme felicemente. Ho pregato solo di non perdere questa felicità. Ma alla fine tu...tu hai parlato! Ora... ti devo uccidere. Hai rotto la tua promessa!”
Il pianto del figlio addormentato però la raggiunge, e lei decide altrimenti.
“Prenditi cura di Tarô al mio posto! E completa la tua opera, fai che sia uno splendore.”
Situazione molto differente dalla volontà di castigo della versione precedente: qui la donna delle nevi è costretta, dalla finzione fiabesca, ad abbandonare dolorosamente il suo posto, ma ancora incoraggia il marito, sempre poco fiducioso di sé, a terminare l'opera. L'accento è posto sulla donna portatrice di benedizioni, capace di illuminare e fare sacrifici in un mondo duro ed egoista, più che sul castigo e sulle colpe, che sembrano svanire come neve al sole del calore della creatura dei ghiacci. Il castigo si abbatte in realtà su di lei, eterna prigioniera delle distese innevate senza fine. E, naturalmente, guardando gli occhi della yuki-onna che si allontana nella notte, Yosaku scorge finalmente lo sguardo compassionevole che scolpirà in quelli della dea.
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Ciao Neve che vola. E' interessante questo confronto su due film che riprendono un kaidan classico giapponese. Devo dire che il primo a me piace molto per l'atmosfera onirica che riesce a generare secondo me calzante al racconto (come dici tu fiaba popolare) e quindi ambiguo nel definire il confine realtà/sogno. Il secondo non l'ho visto ma lo recupererò sicuramente. Un saluto bye Roto
Ciao Rototom, grazie della visita.
Premesso che aver visto Kaidan una sola volta sia troppo poco, e che probabilmente lo rivedrò perchè sento il bisogno di rivedere certe bellissime immagini (rimanendo all'episodio in esame, gli sfondi dipinti sono eccelsi, il cielo ha come una specie d'occhio che sovrasta la situazione), grossomodo mi trovo d'accordo con te. È un film pregevole da molti punti di vista, tra i quali quello che dici tu, la creazione di un'atmosfera onirica adatta al racconto, raggiunta sia con la scenografia che con gli effetti sonori (ci sono, mi pare, solo piccoli frammenti di "musica" vera e propria, anch'essi adatti alla situazione).
La prima parte la trovo mirabilmente descritta da @OGM, sono stato subito d'accordo con lui che ha fornito una lettura che mi sembra perfetta e poetica, un vero aiuto per la comprensione del film. La seconda ha generato i primi problemi, avendo già visto l'altra versione non ho potuto fare a meno di confrontarle, anche perchè la fama di Kaidan quasi mi imponeva di aspettarmi una versione migliore della storia rispetto al meno conosciuto, e più modesto negli intenti, Snow Woman, che è "solo" un piccolo film a parer mio molto poetico, nonostante le ingenuità. Ho l'impressione che Kaidan si possa amare solo a condizione di venirne stregati dalla forma, mandando in secondo piano - visto che sarebbe meno necessario a far sì che ci fosse la scintilla - il cosiddetto "contenuto", se per "contenuto" si intende la logica degli avvenimenti, i meri accadimenti ridotti ai minimi termini. Alcuni ritengono impossibile, ovviamente, parlarne separatamente, con l'idea da me solo parzialmente condivisa che la forma sia il contenuto, perchè è ovvio e banale constatare che qualsiasi cosa si comunichi lo si faccia sempre in un certo modo. Non esiste la possibilità di sottrarsi al modo (il "come") di comunicar qualcosa, non esiste un non-modo. Quando questo "come" è pregno di "volontà di dire qualcosa", ed usa il "contenuto" come semplice materiale per esprimerlo, parlando un linguaggio onirico come i sogni che sembrano quasi sempre illogici, può accadere che tutto vada liscio e non si senta il bisogno di sindacare sugli avvenimenti. Ma questo non dovrebbe portare alla formulazione di una "legge" che valga in ogni caso. Il "come" è sempre il fattore decisivo, anche nei rapporti umani: più o meno le esigenze sono le stesse per tutti, ma il modo di dirlo fa la differenza: basta dire la stessa cosa con gentilezza o rabbia per aver detto due cose molto diverse. È una banalità osservarlo. Cercare una legge al proposito lo trovo semplicemente assurdo, che il "come" abbia maggior valore del "cosa" è senz'altro vero, ma a patto che il "come" usi il "cosa" in maniera adeguata, cioè la volontà di dire sia "buona" e non scadente. Difficilmente, secondo me, un "come" esaltante usa un "cosa" discutibile o"cattivo", perchè il come è quanto di più vicino esista alla personalità di colui che comunica.
Ma questo"come" come si è formato? Sono attributi della persona in primo luogo, non di una creazione. È solo in un secondo tempo che si trovano riflessi nell'opera.
Credo che l'interpretazione della musica classica renda evidente tutto questo. Più "immutabile" di uno spartito stampato non c'è niente (lasciamo perdere ora alcune differenze tra le varie edizioni), eppure alcune esecuzioni le preferiamo al punto da farci pensare che non avremmo mai amato un pezzo senza quella data interpretazione. Ti faccio due esempi presi dalla mia biografia. Questa è l'esecuzione della sonata in si minore L 449 (K 27) di Scarlatti di Arturo Bendetti Michelangeli.
https://www.youtube.com/watch?v=3FiZc7kbrWw
Questa, da parte di Emil Gilels.
https://youtu.be/KjRJti9HP60?t=21m2s
Questa è Martha Argerich che suona quella in re minore L 422 (K 141)
https://www.youtube.com/watch?v=wjghYFgt8Zk
Questo è di nuovo Emil Gilels che suona la stessa sonata
https://www.youtube.com/watch?v=KjRJti9HP60
Non occorre essere grandi esperti per notare le differenze abissali. Nella prima sonata, le note sono più o meno le stesse (eccetto l'accordo che Michelangeli aggiunge alla fine), ma sembrano due opere diverse. La "volontà di dire" è differente, il "come" è differente. Tutto è differente, e sono le stesse note! Tutte e due possono essere lodate: la versione quasi spagnoleggiante di Michelangeli può essere giustificata ulteriormente dal fatto che Scarlatti visse in Spagna, la si può ritenere più "in stile" di quella di Gilels, ed amarla anche di più. Io, però, nella sua versione non sento ciò che ha fatto di me un fanatico di quest'opera: dove sono le foglie morte che cadono in maniera tanto commovente nella versione"fuori stile" di Gilels? Dove sono quelle note ripetute ciascuna delle quali sembra un grido che si erge su un paesaggio desolato? Senza Gilels, non avrei mai potuto amare alla follia, ma solo apprezzare quest'opera. E, francamente, non avrei mai voluto suonare il pf. Non ne vale la pena, mi sia perdonato l'ardire. Evidentemente, soggettivamente per me, Michelangeli non possiede in sufficiente misura la capacità di bruciarmi il cuore, non me la sa raccontare.
Nel secondo caso, la Argerich sembra perfino far rivivere l'epoca (si suppone, che ne sappiamo in realtà?) col suo modo di iniziare la sonata in re minore (tanto più che è una "toccata"), il breve arpeggiato della mano sinistra, i sussurri che evoca coi veloci passaggi in pp etc. Ma non vado oltre l'apprezzamento delle grandi doti virtuosistiche e musicali della Argerich.
Appena Gilels attacca la sonata, mi sembra che qualcosa arrivi da lontano, qualcosa di così significativo e grandioso eppure sommesso da dover smettere ogni altra attività per salutarne l'arrivo. Eppoi, quel suono che è come l'oro zecchino, inimitabile, unico, del grande pianista di Odessa! Quel senso di compassione che mi trasmette...
Ovviamente, ciascuno può dire il contrario, non ci sono regole. Se ci sono, non le conosco. Tutto quello che posso dire è che, soggettivamente, per me l'anima di Emil Gilels è un'anima più grande. Se analizzassi il modo di suonare, potrei perfino dire che siano migliori Michelangeli e la Argerich. Ma nessuno dei due mi ha convinto della bellezza di queste due sonate nella misura in cui lo ha fatto Gilels.
La persona è formata di convinzioni, credenze etc. Queste dipendono in larga misura dal modo in cui si "nutre", tanto per rimanere in Oriente. Siamo composti di ciò che "mangiamo": colori, suoni, vibrazioni... tutto contribuisce a fare di noi ciò che siamo, ci fornisce dei filtri, e quindi il nostro "come". Il "cosa" veicola il "come", ma per capire il "come" non esiste altra via che migliorarci interiormente.
Va beh, tornando a Kaidan, dopo la prima visione, il "come" mi è solo piaciuto come l'esecuzione di Michelangeli e la Argerich. Il fattore decisivo ai fini dell'amore folle che ora provo per questa storia me l'ha fornito un film sicuramente più modesto, e non dico neppure che l'opera conosca niente di ciò che ho provato. Mi ha suggerito meglio, ecco. Tutto qua.
Scusa la divagazione!
Ciao Neve che vola. E' interessante questo confronto su due film che riprendono un kaidan classico giapponese. Devo dire che il primo a me piace molto per l'atmosfera onirica che riesce a generare secondo me calzante al racconto (come dici tu fiaba popolare) e quindi ambiguo nel definire il confine realtà/sogno. Il secondo non l'ho visto ma lo recupererò sicuramente. Un saluto bye Roto
Ciao Neve che vola. E' interessante questo confronto su due film che riprendono un kaidan classico giapponese. Devo dire che il primo a me piace molto per l'atmosfera onirica che riesce a generare secondo me calzante al racconto (come dici tu fiaba popolare) e quindi ambiguo nel definire il confine realtà/sogno. Il secondo non l'ho visto ma lo recupererò sicuramente. Un saluto bye Roto
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