Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Pablo Larrain è ormai diventato uno dei registi latino-americani più talentuosi dell'ultimo decennio, soprattutto per essere stato l'autore, tra gli altri film, di una trilogia incentrata sul regime di Pinochet (Tony Manero-Post Mortem-No), a cui questo "Neruda" pare legato, visto che anche qui Larrain tira in ballo la Storia del suo Paese, il Cile, in una fase antecedente rispetto alla dittatura ma dove già sembrano innestati quei germi che porteranno al dramma degli anni '70 (non è un caso che il generale appaia di sfuggita, dopotutto). Il film si basa sulla vicenda di Pablo Neruda, celebre poeta che dovette espatriare per la sua netta opposizione al regime autoritario di Videla. Sembrerebbe essere il materiale adatto per un classico film biografico, di stampo politico, ma ben presto ci si rende conto che l'approccio di Larrain è di tutt'altra pasta, pone le sue basi sulla Storia, ma trascende in una riflessione sull'arte. È pur vero che il film prende spunto da questa vicenda, ma il tutto è reso attraverso una lente che mira a trasfigurare la storia, a idealizzarla, a poeticizzarla. Man mano che il film procede, infatti, ci si accorge che i contorni storici della vicenda cominciano a farsi sempre meno definiti, più labili (cosa resa ottimamente a livello stilistico da un uso insistito del controluce, del riflesso della luce, di un montaggio discontinuo che travalica l'unità spaziale), e che ciò che interessa a Larrain non è tanto narrare della fuga di Neruda, nè tantomeno del suo credo politico, quanto quello di sviluppare una riflessione tra arte e vita, finzione e realtà. La dialettica tra realtà e finzione, appunto, si esplica nella figura dello stesso Neruda (Luis Gnecco); una personalità enigmatica, contorta, che sfugge dalla realtà, che mira a trasfigurare sè, la propria vicenda di fuga e persino chi gli dà la caccia. Non è un caso che nel film il poeta ci appaia per la prima volta nell'atto di truccarsi e di travestirsi (cosa che farà più e più volte per nascondersi dalla polizia), nè che tantomeno utilizzi uno pseudonimo (il suo vero nome è infatti Ricardo Eliezer Reyes Basoalto), nè che declami le poesie con una voce stilizzata, quella "da poeta", e non con la sua originale. Anche la "caccia all'uomo" nei suoi confronti è una trasfigurazione, una finzione che il poeta crea per idealizzare, per letteraturizzare ed epicizzare la sua fuga e, di conseguenza, se stesso. Ed è qui che entra in gioco la figura del suo persecutore, a cui è affidato l'altro punto di vista della vicenda (oltre a quello di Neruda), l'ispettore Oscar Peluchonneau (Gael Garcia Bernal), il quale non ha altro scopo che quello di essere un personaggio secondario, anonimo, nella mente del poeta, utile solo a magnificare la sua fuga. Ma il personaggio rifiuta ciò, non accetta il ruolo di subordinazione che l'autore gli ha affibbiato, vuole essere lui il protagonista della vicenda e per far ciò deve entrare nella Storia, deve catturare Neruda. Ed ecco che, dal conflitto realtà-finzione, se ne sviluppa un altro, quello tra autore e personaggio, che non può non far venire in mente Luigi Pirandello.
Ottimo film, attendo con curiosità (per usare un eufemismo) la prossima opera del regista cileno.
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