Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Il bio-pic o film biografico è un genere agonizzante, ed è seriamente da apprezzare l'opera di chi, come il cileno Pablo Larrain, decide di tentare strade nuove pur affrontando un personaggio del calibro di Neruda. Il film è un'avventura coraggiosa, che vuole parlarci del Neruda poeta e del Neruda personaggio pubblico spaziando attraverso i generi, mescolando suggestioni intellettuali e linguaggio pulp, intrecciando la biografia con eventi immaginari che però vogliono restituirci l'anima dell'uomo e dell'artista. Il confronto a distanza col poliziotto Garcia Bernal è un espediente per accentuare la finzione romanzesca, ma rende l'opera avvincente come un film noir degli anni 40, immerge la fuga reale di Neruda in un territorio prettamente "cinematografico" che guarda a molti film celebri, tra cui sicuramente da citare "Prova a prendermi" di Steven Spielberg. Il finale sulle Ande in salsa western è più debitore di Tarantino che non di Sergio Leone... ma come in Tarantino, il citazionismo è solo un modo per affermare uno stile originale e agli antipodi della banalità da fiction televisiva, figurativamente ammaliante, narrativamente destrutturato in una serie di quadri estremamente liberi dove a tratti sembra di assistere ad una reverie di stampo surrealista. Magistrale il montaggio, che a tratti crea uno spazio puramente fittizio dove nella stessa scena si passa attraverso ambienti diversi collegati dal filo della voce fuori campo del poliziotto, che per la sua libertà mi ha ricordato i primi film di Godard; determinante anche il contributo della fotografia dalle tinte sporche e bluastre nel conferire al film un forte rilievo spettacolare. E gli attori? Larrain li spinge a caratterizzazioni marcate, come quella di Neruda da parte di Luis Gnecco, sicuramente poco eroico, piuttosto machiavellico e anche a tratti un po' antipatico; la Delia del Carril di Mercedes Moran è molto ringiovanita rispetto al prototipo reale, che aveva vent'anni più di Neruda mentre qui sembrano coetanei. Gael Garcia Bernal compone una figura a suo modo tragica con adeguato istrionismo, ma non riesce a vincere la sfida in bravura con Gnecco, che per la parte è dovuto ingrassare di parecchi chili. Ma la Poesia impregna il film, sia nelle immagini che nei dialoghi e nelle tirate della voce fuori campo, tanto da poter indicare questo tipo di approccio come quello più creativo e fertile ai grandi personaggi della nostra epoca. Come "The master" di P.T. Anderson, è un film di cui riparleremo fra parecchi anni, passato l'iniziale sconcerto. È il primo film che vedo di Larrain, ed è un buono stimolo a recuperare anche gli altri.
voto 9/10
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